- Il sottosegretario all’economia o si dimette o sarà sfiduciato. M5s, Pd e Leu avvertono più palazzo Chigi che la Lega, e assicurano che in autunno, alla ripresa, il caso Durigon sarà chiuso, in un modo o nell’altro.
- Anche Italia viva si unisce al coro delle dimissioni. Dal Nazareno spiegano che il problema ormai è consegnato al presidente del consiglio Mario Draghi. Ma se il sottosegretario dovesse tirare dritto?
- Difficile che Draghi possa infliggere a Salvini un così duro scacco. Toccherà ai giallorossi misurare la serietà delle parole di queste ore.
O si dimette o sarà sfiduciato. M5s, Pd e Leu avvertono più palazzo Chigi che la Lega, e assicurano che in autunno, alla ripresa, il caso Durigon sarà chiuso, in un modo o nell’altro. E dal Nazareno spiegano che il problema ormai è consegnato al presidente del consiglio Mario Draghi: può accettare di avere un sottosegretario all’Economia che bordeggia l’apologia di fascismo? Dopo la richiesta di dimissioni dell’ex premier Giuseppe Conte, quella del presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, ieri il segretario Enrico Letta ha schierato anche le sue truppe: «Le affermazioni del sottosegretario sono incompatibili con la sua presenza al governo» perché «disconoscono i valori anti fascisti su cui si fonda la Repubblica e offendono la memoria di due eroi come Falcone e Borsellino», Durigon «faccia un passo indietro».
Ma se il sottosegretario dovesse tirare dritto? Per ora oltre ai Cinque stelle, che ieri hanno cannoneggiato la Lega tutto il giorno, anche il Pd è «orientato» a votare la mozione di sfiducia pentastellata, a cui si aggiungerà presto una di Sinistra italiana. A loro si unisce il forzista Elio Vito. E, in serata anche l’ex ministra Teresa Bellanova, presidente di Italia viva sembra annunciare l’eventuale sì dei renziani: «L’apologia di fascismo è reato, bruttissima pagina di politica». Bisognerà vedere se le frasi indignate di queste ore saranno mantenute, o se evaporeranno con l’afa.
Il Parco Mussolini
Il 4 agosto, in un comizio a Latina dove parla accanto a Matteo Salvini, Claudio Durigon propone di cambiare il nome al giardino comunale per reintitolarlo al fratello del duce, Arnaldo, come era durante il fascismo, accusando l’attuale sindaco di aver fatto un’operazione politicamente orientata quando nel 2017 ha intitolato il parco ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: «Questa è la storia di Latina che qualcuno ha voluto anche cancellare con quel cambio di nome a quel nostro parco, che deve tornare a essere quel Parco Mussolini che è sempre stato».
Durigon è uno dalla smargiassata facile. Stavolta però è anche fantasioso e si inventa una storia che non c’è. Perché, spiega il primo cittadino Damiano Colella, «non è neanche vero che qualcuno ha cancellato la storia di Latina. Nel 1943 il potestà stabilì di cambiare tutta la toponomastica. E da quel giorno Parco Arnaldo Mussolini è diventato Parco Comunale. Quando nel 2017 abbiamo intitolato il parco a Falcone e Borsellino, non l’abbiamo fatto per rivalsa nei confronti della storia della città. Abbiamo scelto i valori e il sacrificio di due uomini dello stato che hanno perso la vita per l’affermazione della legalità e della giustizia contro la mafia». La delibera numero 248 del 31 luglio 1943, cambiò tutta la toponomastica: piazza Ciano divenne piazza Giulio Cesare, piazza Predappio piazza del Mercato, piazza Littorio cambiò nome in piazza D’Italia, insieme a tutte le vie, viale delle Camicie nere per esempio divenne via Giosué Carducci.
Quella della lode al fratello del duce è solo l’ultima performance di un sottosegretario troppo disinvolto in campagna elettorale. Ormai indifendibile, ma che la Lega deve difendere perché non può rinunciare all’uomo chiave del suo elettorato nel Lazio, fin qui predestinato candidato alla regione Lazio. Però stavolta Durigon ha esagerato anche per Salvini: ha toccato non solo due simboli della lotta alla mafia universalmente riconosciuti nel paese, ma anche tirato in ballo il magistrato che il leader elogia spesso – Paolo Borsellino – e la cui immagine era sulla sua mascherina a Palermo, all’udienza del caso Open Arms.
Per ora Salvini tace. In parlamento a maggio è già arrivata un’interrogazione parlamentare su un video pubblicato dal sito Fanpage.it nel quale Durigon si vantava di poter controllare la Guardia di finanza, a proposito delle indagini sui 49 milioni di euro di finanziamento pubblico spariti: «Quello che indaga della Guardia di finanza... il generale... lo abbiamo messo noi». Draghi in aula aveva minimizzato assicurando che «i reparti della Guardia di finanza che hanno svolto le attività investigative sono comandati da ufficiali con il grado di colonnello».
La direzione antimafia, come ha raccontato Domani, ha aperto un’indagine su Natan Altomare, in rapporti con la mafia di Latina, che avrebbe finanziato la campagna elettorale proprio di Durigon, all’epoca capo del sindacato di destra Ugl, insieme a quella di altri leghisti. È difficile, se non escluso, che palazzo Chigi faccia pressione sul leghista per un’indagine non ancora arrivata a sentenza. È difficile d’altro canto che il premier possa tenersi al governo un sottosegretario che elogia il fratello del duce. Ma è anche difficile che Draghi possa infliggere a Salvini un così duro scacco. Toccherà ai giallorossi misurare la serietà delle parole di queste ore.
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