Il Pd e il “campo largo” festeggiano, dunque, la decisa vittoria in Emilia-Romagna e la riconquista dell’Umbria. Dopo la sconfitta subita in Liguria per appena un punto e mezzo, con grande enfasi si esalta il 56,8 per cento di Michele de Pascale nella regione “rossa” e il buon 51,1 per cento di Stefania Proietti in Umbria, due risultati che lasciano la destra al palo. Le percentuali, però, sono ingannevoli, perché mascherano tanto il calo della partecipazione quanto quello dei voti validi.

In Emilia-Romagna il crollo dei votanti è stato del 21,3 per cento (fino al 46,4 per cento), contro il 12,4 per cento dell’Umbria (fino al 52,3 per cento). Certo, si temeva l’astensionismo, e a ragione, soprattutto a causa del segno lasciato dalle alluvioni in Emilia-Romagna, ma non lo si immaginava così drammatico. Non tanto e necessariamente nelle zone colpite, quanto piuttosto nella percezione generalizzata che il governo regionale non possa dirsi esente da colpe (tra consumo di suolo e dissesto idrogeologico), rivelatasi nella campagna del Pd che ha cercato di glissare sull’argomento, anzi ribadendo di voler perseguire le scelte già compiute.

In Umbria, viceversa, la partecipazione è stata appena più alta proprio perché la candidata presidente – cattolica e pacifista – ha saputo raccogliere attorno a sé un fronte ampio, fino alla sinistra radicale, tale da invogliare al voto più elettori.

Calano i voti

In Emilia-Romagna il centro-sinistra esulta, nonostante la perdita di 286mila voti rispetto al 2020. Certo, il centro-destra ne perde 387mila, ma non ha troppe ragioni per brindare. Il Pd di Elly Schlein in cinque anni perde 108mila voti (il 14,4 per cento), mentre in Umbria ne guadagna quasi 4mila e la candidata presidente 16mila.

Rispetto alle europee di appena cinque mesi fa, poi, in Emilia-Romagna la perdita del “campo largo” è di 269mila voti (e per la destra di 217mila), il che indica che è stato proprio il voto regionale a segnare un calo.

Avs, che alle europee aveva fatto il “botto” con 130mila voti (6,5 per cento), perde 44mila voti sul 2020 e 50mila sul giugno scorso. Così come i pentastellati, il cui giallo è sempre più pallido, che perdono quasi 50mila sul 2020 (la metà) e 89mila sulle europee.

Certo, negli ultimi due anni le tornate elettorali regionali hanno visto una partecipazione calante, segnando dati di affluenza preoccupanti: dal 37,2 per cento nel Lazio al 41,7 per cento in Lombardia, dal 45,3 per cento in Friuli-Venezia Giulia al 46% in Liguria, dal 46,4% in Emilia-Romagna al 48 per cento in Molise, dal 49,9 per cento in Basilicata al 52,2 per cento in Abruzzo e dal 52,3 per cento in Umbria al 55,3 per cento in Piemonte.

Anche le elezioni europee del giugno scorso, peraltro, avevano visto un calo considerevole, con un 48,3 per cento di votanti (il 6,2 per cento in meno) a livello nazionale, e non sembra dunque che si possa dire che sia il voto per le amministrazioni regionali a non essere particolarmente sentito (così come si era già gridato l’allarme alle politiche del 2022, che avevano visto un’affluenza del 63,9 per cento, in calo di ben 9 punti rispetto al 2018).

Lo iato tra società e politica

Nel caso dell’Emilia-Romagna, però, il calo dell’affluenza e dei voti validi è stato particolarmente vistoso, e tutto lascia pensare che le recenti vicende climatiche abbiano accentuato uno iato crescente tra società e corpo politico.

Giusto per fare tre esempi di territori colpiti, nel solo comune di Bologna, ad esempio, il Pd perde 12mila voti (un sesto di quelli che aveva), Avs quasi 7mila (ben un terzo) e i Cinque stelle 4mila (la metà); a Faenza il Pd perde mille voti, dei 10.700 che aveva, e Avs due terzi; a Lugo, il Pd perde 1.600 voti, dei 6mila che aveva, Avs quasi la metà. Potranno anche gioire delle buone percentuali, ma una certa preoccupazione Pd, Avs e M5s la dovrebbero avere.

L’astensione, com’è ovvio, indica una sfiducia montante nei partiti, che viene accentuata da un sistema elettorale rigido, che non permette la diversificazione. Le formazioni politiche, poi, non sembrano volersi davvero sfidare, accentuando una bi-polarizzazione che favorisce solo i partiti maggiori.

Se, in Emilia-Romagna, sinistra e Cinque stelle avessero fatto coalizione a sé – aprendosi a sinistra e contrapponendosi al Pd – avrebbero potuto forse ambire a più di quell’8,8 per cento che li relega a partner minori, raccogliendo anche un voto di “protesta” che, per non premiare il Pd, è finito inespresso.

La “paura della destra” ha avuto la meglio ma ora sarà dura per chiunque ribadire il no alla cementificazione e alle grandi opere e maggiore tutela ambientale. Così, si è lasciato vincere il “partito del cemento” sperando che, di qui alla prossima alluvione, si ravveda davvero.

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