Sarebbe bastato andare sul territorio assieme a qualcuno dei candidati per respirare il timore di una diserzione generalizzata che li ha costretti a spremere le proprie energie fino all’ultimo venerdì di campagna per chiedere, supplicare addirittura: «Andate a votare»
Affezionati ai nostri cliché e assai restii ad abbandonarli, li usiamo anche quando sono ormai sdati. Convinzione diffusa vuole che l’Emilia-Romagna si rechi in massa alle urne per plebiscitare la sinistra nel suo serbatoio più capiente e fedele.
Non è così da tempo e dunque ci si stupisce della cifra che fissa al 46,42 per cento, ben sotto la metà degli aventi diritto, il numero delle persone che hanno deposto la scheda alle urne. Sarebbe bastato andare sul territorio assieme a qualcuno dei candidati per respirare il timore di una diserzione generalizzata che li ha costretti a spremere le proprie energie fino all’ultimo venerdì di campagna per chiedere, supplicare addirittura: «Andate a votare». Ricevendo spesso una risposta sconcertante: «Perché? Si vota? E per cosa si vota?»
Ragioni di una disaffezione
Sarebbe ingeneroso gettare la croce addosso ai media per l’ignoranza (intesa in senso letterale) dell’appuntamento. La notizia è stata diffusa, anche se non sempre in prima pagina, e si è confusa fino ad annegare tra le altre priorità del periodo, Trump, Putin, Netanyahu, l’Ucraina, Israele, la finanziaria, l’Europa, Fitto, le liti tra i big dei partiti. Sino a produrre quel fenomeno per cui troppe informazioni significano, al sodo, nessuna informazione.
Non c’era stata affluenza di massa a fine ottobre nella Liguria martoriata dalle inchieste giudiziarie e anzi ci si era arrestati su un livello persino più basso (45,96), è andata meglio in Umbria dove si profilava un testa a testa che solitamente galvanizza gli schieramenti (52,30), mentre nella regione rossa per eccellenza l’esito pronosticato per scontato, come del resto è stato, ha funzionato da forte deterrente.
Troppo favorito il sindaco di Ravenna e neo presidente, Michele de Pascale, troppo debole la sua avversaria Elena Ugolini, espressione della società civile, troppo fair-play in una competizione senza scossoni quando, purtroppo, è la ferocia delle accuse reciproche, l’estremismo delle posizioni che accende il fuoco della partecipazione.
E infine troppo vistosa l’assenza dei pesi massimi nazionali che hanno preferito non spendersi, o spendersi assai meno del solito, visto che la poltrona più alta dell’Emilia-Romagna non era contendibile almeno in questa tornata.
Il precedente del 2020
La cartina di tornasole è il precedente del 2020, quando un Matteo Salvini, gonfiato come un pallone dal 34 per cento delle europee e dimentico della lezione del Papeete dove nell’estate della sua auto-distruzione in preda alla hybris aveva chiesto i pieni poteri, per risorgere aveva puntato tutte le sue fiches sul tentativo di espugnare la roccaforte rossa.
Per apporsi sul petto quella medaglia al merito aveva oscurato la sua candidata Lucia Borgonzoni, guidando in prima persona la campagna di Bologna e perdendo il senso della misura con la rovinosa scena del citofono in cui, sostituendosi a un qualsiasi brigadiere dei carabinieri, aveva chiesto a un inquilino: «Scusi lei spaccia?»
Un impresario della paura che aveva urtato la sensibilità di una popolazione refrattaria ai capipopolo populisti, avendone questa terra generato uno che con gli stessi eccessi aveva combinato ciò che sappiamo.
Si era infranto, Salvini, anche contro la trovata invero ingegnosa, di una Elly Schlein, non ancora soggetto nazionale, che lo aveva aspettato fuori dal luogo di un comizio ricevendolo con un amichevole «ciao».
Doveva conoscerla visto che erano nella stessa commissione Migranti a Bruxelles, dove però Salvini non si era mai presentato. Incapace di rispondere al saluto aveva abbassato la testa sul telefonino. Un video visto da milioni di persone su YouTube. E comunque quella contesa acre aveva prodotto un 67,67 per cento di votanti, 21 punti più di questa volta. Una rarità se basta allungare il collo e tornare un passo indietro, al 2014, altro caso in cui non c’era partita tra Stefano Bonaccini e Alan Fabbri, l’affluenza era stata ancora più bassa: 37,7 per cento.
Pochi giovani
Alle regionali di domenica e lunedì, se la media è stata del 46,42, un maggior afflusso si è registrato nella Ravenna colpita dalle alluvioni (49,72) e si capisce perché, record a Bologna con il 51,66, dove da tempo si è ripreso a votare a sinistra dopo lo choc di Giorgio Guazzaloca sindaco sostenuto dal centro-destra sul morire del secolo scorso (1999). Per ricordare come i tabù sono fatti per essere violati e nessuno occupa poltrone per diritto divino.
I sondaggisti nei prossimi giorni scomporranno i dati e forniranno maggiori indicazioni. Se nel frattempo vale un’impressione empirica, nelle code (eufemismo) ai seggi c’erano persone di mezza età o di terza e quarta età. Sparuti i giovani. E questo è davvero un bel problema.
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