Gli aumenti salariali annunciati dal ministero sono adeguamenti già divorati dall’inflazione. I nostri insegnanti sono tra i meno pagati d’Europa. Ma la retribuzione del corpo docente non è solo una questione economica, ma anche sociale: l’81,5% degli insegnanti è donna
Il personale della scuola italiana, così come la metà dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti, ha un contratto di lavoro scaduto, oltre a stipendi tra i più bassi d’Europa. Gli aumenti salariali di cui parla il ministro Valditara sono, in realtà, semplici adeguamenti, perdipiù fermi a tre anni fa, perché l’ultimo contratto nel comparto scuola, firmato dai sindacati a gennaio, è quello del triennio 2019-2021.
Ciò significa che gli stipendi del corpo docente, più bassi di quelli francesi, tedeschi e danesi, hanno anche perso potere di acquisto, considerevolmente diminuito negli ultimi tre anni. Secondo l’Istat, infatti, tra il 2020 e il 2023, l’inflazione ha raggiunto il 16,2%, trainata dalla ripresa post pandemica, prima, poi dai rincari dell’energia: ciò ha comportato una perdita di potere di acquisto di dodici punti percentuali. Così come per gli altri lavoratori e le altre lavoratrici, con un contratto scaduto e stipendi non conformi all’inflazione. Ed ecco che il 2024 è iniziato con un calo dei consumi del 2,1%.
Non è soltanto una storia di numeri, però. È, soprattutto, una storia di donne. L’81,5% del personale docente, nelle scuole statali italiane, secondo il ministero dell’Istruzione e del Merito, è di sesso femminile: la percentuale più alta tra i paesi dell’Europa occidentale. Come noi, solo i paesi dell’ex Unione Sovietica: Lettonia, Lituania, Bulgaria, Repubblica Ceca e Slovacchia, Romania e Ungheria. E si tratta di una media, perché nella scuola dell’infanzia si sale al 99% per le maestre di ruolo, al 96% per le insegnanti della scuola primaria. Unica eccezione: un supplente su quattro è uomo e nelle scuole secondarie di secondo grado un insegnante su tre. Tuttavia, tra chi ha il ruolo di preside solo il 47% è donna, il 56% nelle scuole elementari e medie, il 36% nelle superiori.
Certo, peggio delle presidi stanno le mediche: come evidenziato da Federica Pennelli su questo giornale, nella sanità i direttori di struttura complessa sono all’82,8% uomini, quelli di struttura semplice il 65,3%, secondo i dati Anaao-Assomed. Insomma, le donne sono in minoranza nei ruoli apicali, sia nella sanità, che nella scuola.
Lo squilibrio di genere nella classe docente, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), potrebbe dipendere da stereotipi datati, che associano l’insegnamento alle donne, oltre che dall’orario di lavoro flessibile, fonte di attrazione verso l’insegnamento soprattutto per le madri - ulteriore divario di genere.
Per questo la questione contrattuale, specie nella classe insegnante, è una questione non solo economica ma anche sociale e, più in generale, politica. In effetti, il problema non si porrebbe se la remunerazione della professione di insegnante fosse in linea con gli altri paesi ricchi. Invece, una docente delle superiori, in ruolo da dieci anni, con sette anni di supplenze alle spalle, guadagna tra i 1.700 e i 1.800 euro netti al mese. Una tedesca può arrivare a guadagnare 43.000 euro l’anno. Una danese, in media, 51 mila. Il doppio delle colleghe italiane. Non va meglio per chi fa ricerca: uno studio, condotto dall’Università della California-Berkley lo scorso anno, mostrava che il salario medio di un ricercatore italiano, a inizio carriera, era (e continua, grosso modo, a essere) di 28.256 euro. Per una posizione analoga nel Regno Unito lo stipendio parte da 49.168 euro; in Francia si arriva a 50.000 euro; in Germania migliora ulteriormente, con una paga di 52.689 euro.
Visto il successo di film come “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, che ha ricordato alle donne italiane l’importanza del diritto di voto, raggiunto nel 1945, sarà bene segnalare che le danesi lo raggiunsero trent’anni prima, nel 1915. Ora, non si vorranno mica aspettare altri trent’anni per avere un contratto analogo alla classe docente danese?
Migliorare il riconoscimento e la remunerazione della professione di insegnante, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, potrebbe aiutare ad attrarre e trattenere buoni insegnanti, indipendentemente dal genere. Per l’Ocse, la promozione della diversità di genere nella professione di insegnante andrà a vantaggio sia degli studenti maschi che di quelle femmine.
Come si sta organizzando il mondo del lavoro per riuscire ad aumentare lo stipendio del settore? A febbraio i sindacati Cgil, Cisl, Snals, Gilda e Anief hanno inviato la disdetta del Contratto nazionale di lavoro (CCNL) del comparto “Istruzione e ricerca”, scaduto nel 2021, avviando così l’iter per il rinnovo del successivo triennio. La Uil non ha provveduto perché non ha firmato il contratto.
Per il rinnovo la Federazione lavoratori della conoscenza (Flc) della Cgil ha avviato una mobilitazione già lo scorso inverno, con lo sciopero del 17 novembre. L’adesione, però, non è arrivata neanche all’8%, fermandosi al 7,43%. Con questi numeri i rapporti di forza continueranno a essere a vantaggio di chi è interessato a mantenere bassi i salari delle docenti, aggiungendo discriminazione a discriminazione. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ebbe buon gioco a commentare: «Massimo rispetto per chi oggi ha scioperato, va tuttavia segnalato che l’adesione allo sciopero nella scuola è stata molto bassa. Si configura il clamoroso insuccesso dell’iniziativa di alcuni sindacati. Andiamo avanti sulla strada delle riforme».
Riusciranno a invertire la tendenza un camper della Flc Cgil, che gira l’Italia per rivendicare il salario, il contrasto alla precarietà, i no sia alla privatizzazione della scuola pubblica sia all'autonomia differenziata, e un piano straordinario di assemblee nei luoghi di lavoro? I sindacati si aspettano risorse aggiuntive per il rinnovo del contratto a partire dalla legge di stabilità 2025, anche se la Cgil è preoccupata dal Documento di economia e finanza (Def) presentato dal governo.
In vista del rinnovo contrattuale del triennio 2022-2024, anch’esso destinato a realizzarsi quando ormai sarà scaduto, si dovrà tenere conto dei fenomeni di erosione di reddito per lavoratori e lavoratrici della scuola, causati dall’inflazione. Se i direttori amministrativi (Dsga) hanno avuto un incremento di 190 euro lordi, i docenti in media di 124 euro (ma c’è un divario tra i vari ordini di scuola, ormai ingiustificabile, dato che tutti prevedono la laurea come titolo di accesso), mentre soltanto 96 euro lordi, in media, sono stati stanziati per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata).
Non sarà opportuno introdurre per legge un meccanismo automatico di difesa dei salari reali dall’inflazione? Il problema non riguarda solo il mondo della scuola. E va sommato con il precariato diffuso a ogni livello. «I salari erano, e sono tuttora, tra i più bassi d’Europa, anzi gli unici che non sono aumentati bensì sono diminuiti rispetto al 1990», facevano notare Chiara Saraceno, David Benassi e Enrica Morlicchio nel loro saggio “La povertà in Italia”, che uscì nel 2022, lo stesso anno di “Basta salari da fame!” di Marta e Simone Fana. Eppure, in questi due anni, non si è assistito ad autunni caldi. Chi sa se ci attende un maggio di lotta.
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