I percorsi abilitanti sono necessari per accedere a concorsi e graduatorie per la scuola secondaria. Ma attivarli, a suon di migliaia di euro, finora sono state solo le università digitali. Ecco perché tra gli iscritti si trovano molti insegnanti di ruolo delle scuole primarie, anche con molti anni di carriera alle spalle
Quello delle abilitazioni per gli insegnanti è a tutti gli effetti un mercato. E tra titoli conseguiti nei paesi dell’Est europeo e aumento enorme delle iscrizioni alle facoltà telematiche, negli ultimi tempi si è finalmente arrivati a parlare dell’esistenza di un fenomeno ai più sconosciuto, che fa però parte della vita di molti insegnanti. E cioè l’estenuante e incerto percorso burocratico per diventare docenti in Italia. Che per altro cambia in continuazione ed è segnato da un’ultima importante novità.
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A inizio marzo infatti è stata confermata la possibilità di partenza in tempi brevi dei nuovi percorsi abilitanti, ora necessari per poter accedere ai concorsi e alla prima fascia delle Graduatorie provinciali per le supplenze per la scuola secondaria. Il decreto per la partenza dei corsi da 30 Crediti formativi universitari, abilitanti per i cosiddetti "ingabbiati” – cioè i docenti abilitati che desiderano richiedere la mobilità su altra classe di concorso, ordine o grado – era atteso da tempo, già da agosto: le università statali si sono però fatte trovare impreparate, lasciando campo libero a quelle private, nella fattispecie quelle telematiche.
Gli insegnanti, preoccupati per l’imminente riapertura delle graduatorie nelle quali inserire nuovi titoli e abilitazioni, si sono quindi rivolti in massa alle facoltà telematiche, prontissime ad offrire possibilità di iscrizione per qualunque classe di concorso e i cui sistemi sono già predisposti e collaudati da anni per gestire un numero altissimo di connessioni, il tutto senza attesa alcuna: iscrizioni immediate e partenza dei corsi in un paio di settimane.
Alcune hanno già organizzato la seconda edizione del corso non riuscendo a gestire tutte le richieste arrivate contemporaneamente. Entrando su qualunque sito di informazione scolastica si viene inondati da pubblicità che sponsorizzano i suddetti corsi dei più svariati atenei con sede in ogni angolo del paese, garantendo frequenza totalmente a distanza (ciò in realtà era stato stabilito all’origine da decreto ed è valido anche per le statali).
Chi si è avvicinato a questo mondo durante il periodo Covid con perplessità varie, come la sottoscritta, ha trovato sistemi perfettamente funzionanti che ben si sposano con le esigenze di integrare crediti ed esami per chi ha già svolto e terminato un percorso universitario tradizionale. Si tratta in questo caso, della mia seconda esperienza con università di questo tipo, ma per molti è la prima.
Ci si trova e conosce per caso, attraverso gruppi Facebook e Telegram che poi danno il via a gruppi Whatsapp: dai nickname è già chiaro che la fascia d’età media è tra i 35 e i 50 anni. Sono insegnanti di ruolo su altro ordine e grado o precari storici, ma poco importa differenziarli: gli interessati sono tutti professionisti del mondo della scuola che hanno già conseguito un’abilitazione attraverso concorsi o percorsi universitari ad hoc, che si ritrovano sui banchi – anzi, davanti al Pc – nuovamente perché sperano di migliorare la propria posizione lavorativa. Per farlo sono disposti a rinunciare a serate e weekend per i prossimi due-tre mesi, proprio quando le giornate si fanno più lunghe e piacevoli e il carico didattico maggiore.
È il caso di R., 53 anni, maestra da oltre vent’anni e vincitrice di più concorsi per la scuola dell’infanzia e primaria. Laureata in lingue e abilitata al sostegno, negli anni da maestra ha insegnato sia su posto sostegno che su materia: italiano, inglese, musica, arte. Dopo 21 anni tra i banchi delle elementari – di cui 16 di ruolo – vorrebbe concludere salutando la sua classe quinta a giugno ma senza rientrare su una classe prima a settembre, per passare alla scuola secondaria di primo grado: «La scuola secondaria, nella considerazione dei lavoratori e dei dirigenti, è privilegiata. Le competenze degli insegnanti di infanzia e primaria sono considerate "inferiori": ne è una prova anche la differenza di retribuzione a livello nazionale a fronte di un orario scolastico maggiore. Insegnare alla scuola primaria può sembrare meno impegnativo dal punto di vista della preparazione didattica rispetto a livelli scolastici superiori, ma richiede enormi sforzi ed energie a livello educativo e relazionale. Sono necessari non solo una solida conoscenza dei contenuti, ma anche una grande dose di pazienza, empatia e capacità di adattamento alle esigenze individuali degli studenti. Da un punto di vista relazionale, gli insegnanti devono essere in grado di gestire situazioni emotive complesse, risolvere conflitti tra i bambini e lavorare in stretta collaborazione con le famiglie. È un lavoro faticoso anche dal punto di vista fisico oltre che mentale».
Tutto ciò riassume benissimo perché con oltre vent’anni di servizio, titoli a volontà e una stabilità lavorativa da far invidia a molti, a oltre 50 anni una persona scelga di rimettersi in gioco togliendo ore preziose – i corsi si svolgono tutti alla sera infrasettimanale o per l’intera giornata di sabato e domenica – al proprio tempo libero e alla famiglia per una mobilità professionale verso la scuola secondaria. Il caso di R. è solo uno tra tanti, poiché gli insegnanti di scuola dell’infanzia e primaria rappresentano il 25-30% degli iscritti a questi corsi: il restante è già professore alla scuola secondaria (di 1° o 2° grado) e necessita di un’ulteriore abilitazione per insegnare in un’altra classe di concorso o spostarsi dal sostegno alla materia – con più possibilità di lavorare per tutto l’anno, magari avvicinandosi a casa.
Costo di tutto questo? 2.000 euro per la totalità degli atenei non statali, ovvero il tetto massimo definito dal decreto – ovviamente escluse le spese di esame e di iscrizione, altri 150 euro circa. Una cifra che non sembra essere un ostacolo all’esercito di “ingabbiati” desiderosi di uscire dalla prigione della propria classe di concorso: gli iscritti sono migliaia sia nei turni infrasettimanali che nel weekend. Insomma, c’è posto per tutti.
Le università telematiche così come durante il covid, si sono riconfermate in grado di reggere il passo e anzi superare come capacità organizzativa e offerta formativa le università statali, anche per percorsi totalmente a distanza, con buona pace di chi punta il dito contro la scarsità di alloggi universitari e di mezzi pubblici come principali variabili nel calo delle iscrizioni agli atenei statali.
Rimane solo il non banale interrogativo della tempistica dell’esame finale, che consta di una prova scritta e una orale in presenza di un rappresentante dell’ufficio scolastico regionale della sede prescelta. Alla possibilità di totale frequenza a distanza si aggiunge anche quella della scelta della località d’esame: c’è da augurarsi che si concluda in tempo per l’aggiornamento delle nuove graduatorie.
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