Crosetto dice che non ci sono accordi, ma che la Difesa rischia di essere «obbligata» a farli. L’alto ufficiale: «Affidare la sicurezza a un privato è un interrogativo che ci poniamo da anni»
La nostra Difesa «non ha approvato alcun accordo» con la Space X di Elon Musk, ma «è interessata» anzi «forse obbligata» a «integrare le sue capacità di comunicazione. È quello che ieri il ministro Guido Crosetto ha spiegato al question time della Camera, rispondendo a un’interrogazione del rossoverde Nicola Fratoianni. L’accordo non c’è, ma la strada sembra obbligata: è a senso unico e porta a Musk. E al sistema di satelliti di Starlink: perché se il ministro dice che è necessario «studiare e valutare ogni soluzione», d’altra parte dice anche che «Space X è un operatore che riunisce i requisiti e possiede capacità di servizi». In altre parole, il monopolista di questa tecnologia. Ne parliamo con il generale Maurizio Fioravanti, paracadutista, già comandante operativo delle Forze Speciali italiane, una vita in missione: Libano, Iraq, Kurdistan, Bosnia-Erzegovina e Kosovo.
Generale, quali servizi militari potremo affidare a Starlink?
Le comunicazioni, la trasmissione di dati, quelli che utilizziamo tutti, dalle famiglie alle imprese. Anche le aziende hanno bisogno di comunicazioni in business, che quindi hanno esigenze di crittografare o secretare alcuni tipi di informazioni di interesse aziendale contro la concorrenza nazionale e internazionale. La sicurezza non è solo un’esigenza militare. Ma certo è un’esigenza militare: abbiamo bisogno di migliorare il sistema di comunicazioni ad alto livello di segretezza per le nostre numerose missioni all'estero, dai Balcani all'Africa, al Niger a Mogadiscio ma anche in Medioriente, abbiamo militari italiani in Iraq, in Kurdistan, in Libano.
Crosetto dice che SpaceX ha le capacità per comunicazioni più affidabili. Ma non è comunque rischioso per la sicurezza nazionale affidarle un’azienda privata, per di più di proprietà estera, anche se di un paese alleato?
È il problema che ci stiamo ponendo da mesi. In realtà da anni, almeno da quando, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Musk ha offerto il suo sistema satellitare a Kiev. Ma sappiamo che è un businessman, e quello stesso sistema lo può offrire a Putin, a Xi Jinping, o Kim Jong-un. La risposta dunque è ancora un grosso punto interrogativo.
Un sistema alternativo europeo non c’è ancora. Perché?
Con il sistema Iris siamo partiti tardi e siamo in grande ritardo. Molti paesi europei hanno sviluppato propri satelliti. Sopra le nostre teste abbiamo diversi tipi di orbite terrestri, quella alta e quella bassa, che va dai 200 km fino a circa 2mila chilometri. I sistemi utilizzati finora in ambito militare sono tutti ad alta quota. Anche nel marzo del 2024 si è parlato del nuovo satellite ad alte capacità militari lanciato dalla Cina: ma anche questo a alta quota. È un sistema che garantisce protezione e comunicazione, ma non riesce a coprire nel dettaglio, come fa la bassa quota con la rotazione continua e il passaggio del satellite ogni ora e mezza. Che invece è la capacità sviluppata da Starlink, con migliaia di microsatelliti che viaggiano fra i 500 e i 600 km, e con i loro 28mila chilometri orari riescono a fare un giro completo dell'orbita terrestre in 90 minuti. Girando così frequentemente, riescono a coprire qualsiasi punto della terra, dell'Everest ai canyon più stretti e chiusi. Noi europei siamo indietro, ma confido che essere costretti ad affidare le comunicazioni civili e militari a un privato ci darà lo stimolo ad andare più veloci.
Che significa?
Il governo italiano ha appena affidato all’Agenzia spaziale italiana la realizzazione di una costellazione nazionale di satelliti per esigenze delle telecomunicazioni, operative e terresti. La Farnesina, con un bando, ha costituito un raggruppamento di aziende italiane, insieme Leonardo, per la realizzazione di servizi di connettività per le sedi consolari e diplomatiche. C'è un'accelerazione, non solo l'Italia ma anche gli altri paesi vedono il pericolo di doversi affidare a un privato.
Ma nel frattempo dobbiamo consegnarci a Musk?
Sto alle comunicazioni ufficiali del ministro. Siamo ancora alla valutazione dell’opportunità. È chiaro che saranno pretese garanzie di sicurezza altissima. Io mi auguro che questo rapporto con un privato duri un tempo limitato, non più di qualche anno. Perché la strada giusta è la collaborazione europea, non solo nel settore delle comunicazioni della Difesa, ma in tutti i settori – controllo del territorio, calamità – per realizzare un sistema all'avanguardia che ci garantisca da terzi. Ma ripeto, questa vicenda sta provocando un'accelerazione.
Quello della sicurezza delle comunicazioni dei singoli eserciti nazionali è un problema anche per la Nato?
È un problema per tutti, Nato, Unione europea. Il ministro Crosetto ha spiegato che l'esigenza prioritaria per il nostro paese è di garantire il controllo e le comunicazioni in tutto il Mar Mediterraneo, dalla parte ovest quindi dall'Algeria fino allo stretto di Gibilterra, Libia, Tunisia, Egitto fino al Medioriente. Le aree di crisi sono molte, noi siamo coinvolti in quasi tutte.
Siamo alla vigilia di un aumento significativo delle spese per la difesa. Ma al momento l’Ue non procede verso una difesa comune.
È un problema serio, il presidente Draghi su questo ha presentato alcune proposte, poi confermate nel rapporto sul futuro della competitività europea, consegnato a Ursula von der Leyen. Che mi pare abbia assicurato che in questo mandato lavorerà per integrare il più possibile i sistemi: equipaggiamenti, munizioni e tutto il resto. Unificare e standardizzare significa razionalizzare e risparmiare. Per il resto, gli eserciti nazionali europei di fatto già lavorano insieme. Da anni, dalla metà degli anni 90, dopo la guerra nei Balcani, Italia, Francia e altri paesi europei sono intervenuti insieme come Nato ma anche come Ue, con compiti diversi. Cambiamo il casco, e a livello umano e di lavoro sul terreno siamo molto avanti sulla difesa comune. Ma per arrivare all’obiettivo serve la volontà politica.
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