- Per capire la natura del progetto politico di Meloni bisogna chiarire quale sia l’effettivo contenuto del “nazionalconservatorismo” che lei rivendica pubblicamente
- Strappare la sussidiarietà alla chiesa cattolica. E l’antiglobalismo alla sinistra radicale: la nuova destra si appropria delle parole d’ordine altrui e rompe con il liberismo degli anni Duemila
- Un progetto che risponde alle circostanze storiche della deglobalizzazione e offre risposte ai settori economici in questa fase di ansia
Le ideologie e i movimenti politici vanno sempre letti alla luce del loro tempo, piuttosto che cercando di incasellarli a forza elle categorie familiari del passato. Se è evidente che ci sono diversi legami storici diretti e somiglianze funzionali e di base sociale tra il progetto politico di Giorgia Meloni e i fascismi del secolo scorso, ridurre questo movimento al fascismo ha più senso a fini propagandistici che propriamente analitici.
Come affermato a suo tempo da Tatarella a seguito della svolta di Fiuggi la destra italiana è preesistita al fascismo: la sua storia e identità non può essere ridotta a esso, per quanto è evidente che questo continui a giocare un ruolo pesante nella sua identità storica. Di fatto la destra di Fratelli d’Italia più che al fascismo stesso assomiglia al nazionalismo italiano che precedette il fascismo per poi confluire in esso, e che certo non era esule da posizioni estremamente reazionarie che nella semplificazione del dibattito oggi vengono attribuite unicamente al fascismo. Ma in cosa consiste allora il progetto politico di cui Meloni è capofila? E come si rapporta all’attuale crisi della globalizzazione?
Il nazionalconservatorismo
Per capire la natura del progetto politico di Meloni bisogna chiarire quale sia l’effettivo contenuto del “nazionalconservatorismo” che lei rivendica pubblicamente, e che è l’ideologia ufficiale del gruppo Europeo Ecr (conservatori e riformisti) di cui Meloni è presidente e in cui figurano gli spagnoli di Vox, i democratici svedesi, e il partito Diritto e giustizia polacco (PiS).
Il cuore di questa ideologia è una promessa di protezione della comunità nazionale contro nemici culturali e politici, un nuovo protezionismo reazionario che vuole riasserire il diritto della comunità nazionale, interpretata in senso smaccatamente conservatore di ristabilire la propria tradizione e la propria identità e il proprio controllo sulle attività economiche.
Fino a oggi l’analisi politica si è focalizzata sul versante delle politiche sociali e culturali, denunciando le posizioni ultraconservatrici prese da Meloni e alleati: limitazioni del diritto all’aborto, sospetto verso la comunità lgbt difesa della famiglia tradizionale e politica a favore della natalità, celebrazione dell’identità nazionale e ostilità contro gli immigrati.
Si tratta di quel tipico cocktail della nuova destra a cui ormai ci siamo abituati, seguendo il discorso di Trump, di Salvini, e di simili figure politiche. Ciò che deve essere protetto in questo protezionismo culturale della nuova destra sono le famiglie, la religione, le tradizioni, messe in pericolo dai “globalisti”. Si tratta di un termine usato da molte figure della nuova destra, europea e americana, da Orbán fino allo psicologo di destra Jordan Peterson per prendere di mira una oscura élite fatta di finanzieri, giornalisti e intellettuali che vogliono mercificare ogni cosa e privare la gente della propria identità e tradizione.
Progetto economico
Sul versante economico le formazioni nazionalconservatrici combinano mantenimento del consenso neoliberista sulle questioni di politica fiscale e del lavoro con un nuovo protezionismo commerciale che è in rottura con la destra degli anni Novanta e Duemila. Meloni è in continuità con figure egemoni in anni precedenti come Silvio Berlusconi nel favorire misure di precarizzazione del lavoro (ad esempio l’estensione nell’utilizzo dei voucher come previsto nel programma di FdI) e il sospetto verso lo stato sociale e come il reddito di cittadinanza, accusato di incentivare la pigrizia; o meglio di rendere più difficili ai piccoli imprenditori che Meloni è riuscita a rubare alla Lega, ad accedere a lavoro a bassissimo costo.
Sul fronte della politica fiscale Meloni ha addirittura sposato almeno retoricamente la misura della flat tax: una proposta estrema di aliquota unica, finora applicata solo nei paesi post-sovietici per creare da zero una borghesia. Infine, sul fronte della politica fiscale Meloni è in linea con l’ortodossia neoliberista. Contrariamente alla Lega che si è spesso dimostata contraria alla spesa a deficit.
Il vero punto di cesura con la destra neoliberista degli anni Novanta e Duemila riguarda l’atteggiamento sul libero commercio. Giorgia Meloni ha adottato posizioni di chiaro sapore protezionista, volte a difendere l’industria nazionale contro la concorrenza sleale della Cina e di altri e offrire sicurezza al piccolo commercio e ai piccoli artigiani che spesso dipendono dal mercato interno e vedono di buon occhio misure protezioniste. Un esempio di questa posizione “antiglobalista” (non solo in senso culturale ma anche economico) si trova nel discorso fatto da Giorgia Meloni a Viva 22 il festival del partito politico di Santiago Abascal che ha avuto luogo lo scorso fine settimana.
Meloni ha affermato che la questione energetica è la dimostrazione palese del fallimento della globalizzazione, e che la destra faceva bene a criticarla. «Ci hanno raccontato che il commercio globale ci avrebbe reso più ricchi, che avrebbe democratizzato il sistema», ha affermato Meloni. «Eppure la ricchezza si è concentrata in alto. E su tutta una serie di fronti, dal cibo, alle materie prime ci siamo riscoperti più deboli».
Contro la globalizzazione
Questo anti-globalismo economico, già visto anche in Trump e nella sua guerra commerciale con la Cina è il vero elemento di novità della nuova destra mainstream. E un esempio spettacolare di appropriazione politico-culturale: del resto pochi decenni fa la critica alla globalizzazione neoliberista veniva prevalentemente dalla sinistra radicale e da movimenti di protesta come quello del G8 di Genova.
Nel suo discorso Meloni ha anche offerto un percorso su come affrontare questo fallimento del mercato globale concentrandosi sulle catene di approvvigionamento, in particolare quelle energetiche. La leader di Fratelli d’Italia ha affermato che la destra si deve appropriare del principio della sussidiarietà, un termine che viene dagli insegnamenti sociali della chiesa cattolica e dalla tradizione democristiana europea, ma che per Meloni deve essere rivendicato anche dalla destra ultraconservatrice.
Questo nel caso della politica energetica e produttiva, significa che – per parafrasare Meloni – ove possibile le catene di approvvigionamento devono essere riportate a livello nazionale e solo in seconda battuta livello europeo, o presso paesi che siano chiaramente amici e alleati. L’ovvio riferimento qui è la forte ostilità di Meloni alla Cina: l’obiettivo è legare fortemente la politica commerciale a quella politica, tagliando i ponti con paesi considerati politicamente non affini.
L’antiglobalismo protezionista di Meloni offre un mezzo efficace per appellarsi a diversi settori economici e sociali, neutralizzando al contempo possibili linee di attacco dei suoi oppositori politici. Dal punto di vista ideologico permette a Meloni di offrire una critica al capitalismo, di chiaro stampo moralista più che materialista, focalizzato sul potere della finanza, delle grandi multinazionali e delle imprese straniere, non accompagnato da alcuna critica verso il modello rapace del nostro capitalismo nazionale.
Inoltre offre un quadro dove costruire un alleanza tra i peones e i signori del capitalismo italiano: da un lato i piccoli imprenditori e autonomi italiani che hanno votato in massa per Giorgia Meloni; dall’altro le grande imprese, tra cui le ex nazionalizzate e adesso partecipate dello stato, e il comparto difesa, che come noto guarda con molto favore a Fratelli d’Italia.
La promessa fatta a queste diverse categorie è un capitalismo più protetto e controllato politicamente, in cui le nostre piccole imprese non debbano più fare i conti con la concorrenza internazionale, e possano accedere a lavoro a basso costo e con pochi diritti, che è l’unico mezzo per rimanere sul mercato; e alle nostre grandi imprese è promesso il sostegno attivo dello stato, e l’utilizzo diretto di aiuti di stato per portare avanti le loro strategie economiche: in particolare in ambito energetico, nel bacino del Mediterraneo che Meloni vede centrale per “risollevare l’Italia” come da slogan elettorale.
Il nazionalconservatorismo è dunque tutt’altro che una fantasia o uno scherzo. È un progetto con la sua razionalità interna, che risponde alle circostanze storiche della deglobalizzazione e offre risposte a certi settori economici in questa fase di ansia. Tra questi settori economici non figurano però i lavoratori italiani, che durante gli ultimi due decenni sono gli unici in Europa a avere visto arretrare i propri salari. E che nel quadro del programma protezionista di Giorgia Meloni sono destinati ancora una volta a pagare il conto, in nome dell’interesse nazionale, del made in Italy e della proiezione strategica del nostro paese.
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