Tutto quello che c’è da sapere sulla corsa al Quirinale, fra suggestioni della stampa, ambizioni, calcoli, tattiche, manovre e assenza di manovre dei protagonisti. Monte Cavallo, la rubrica quotidiana sull’elezione del prossimo capo dello stato
- Matteo Salvini prova a vestire i panni del kingmaker del presidente della Repubblica. Ma i più freddi sono proprio i suoi alleati: Meloni e Berlusconi. Letta invita a parlarne dopo l’approvazione della legge di Bilancio.
- Stato d’emergenza prorogato a fine marzo. Che riflessi ha la decisione sull’elezione del Quirinale? C’è chi vede Draghi ancora più inchiodato a palazzo Chigi. Ma l’emergenza spinge per una soluzione condivisa e super partes.
- Guido Crosetto spiega che il voto “non è libero”. Perché l’Italia è sempre sotto osservazione per i suoi conti economici. Finché c’è Supermario il debito è ancora “buono”…
È stato Matteo Renzi a tirar fuori l’espressione, dal palco di Atreju: kingmaker. Ironizzate finché volete sulla lingua inglese maccheronica del capo di Italia viva («first reaction choc») ma questa volta il termine ha avuto fortuna. Infatti da quando Renzi l’ha usato ricorre ogni giorno nelle cronache giornalistiche.
Eh sì perché nella corsa al Quirinale oltre al king, nel nostro caso il presidente, conta chi davvero lo fa eleggere. L’espressione nasconde anche un riflesso freudiano: chi fu il kingmaker di Mattarella? Guarda caso, proprio Renzi.
Secondo Wikipedia il primo kingmaker fu Richard Neville, conte di Warwick, che, non potendo essere lui stesso re, si schierò con gli York, nella famosa guerra medievale delle due rose, contro i Lancaster. Il fatto è che nell’attuale guerra delle due poltrone (palazzo Chigi e Quirinale) sono in tanti a voler essere kingmaker. Primo fra tutti l’altro Matteo, Matteo Salvini. Il quale ha lanciato la sua iniziativa, come abbiamo detto ieri, senza però suscitare l’entusiasmo che forse si aspettava.
Con Giorgia Meloni lo scambio è stato solo via WhatsApp. È sembrato freddino e sospettoso Silvio Berlusconi. Cordiale Enrico Letta che però ha spiegato che è meglio parlarne dopo la Legge di Bilancio. È dura la vita del kingmaker. E poi capita anche il re, una volta eletto, sia poco riconoscente: non lo furono Sandro Pertini con Bettino Craxi, né Francesco Cossiga con Ciriaco De Mita, per citare due clamorosi precedenti.
IL VOTO PER IL PRESIDENTE E LO STATO D’EMERGENZA
Dunque si va avanti con la proroga. Già oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare il decreto che prolunga lo stato d’emergenza per la pandemia fino al 31 marzo. Mario Draghi ha fatto il Draghi e ha deciso. Ovviamente sulla base di cattive notizie dal mondo scientifico e dagli altri paesi europei.
Come influisce nella partita per il nuovo capo dello Stato? Secondo il Giornale la circostanza se non impedisce del tutto, “ostacola Draghi al Colle”. La Verità conferma la malignità, attribuendo l’intenzione ai partiti: “Ci tengono in emergenza per sgambettare Draghi”. Previsioni interessate? Forse.
uttavia l’emergenza palesemente non finita dà ragione a Sergio Mattarella, quando dice, come ha fatto ieri che «il paese sta affrontando una stagione che invoca un'alta e condivisa responsabilità per combattere la pandemia e, insieme, costruire con coraggio la ripresa».
Il che significa che se Draghi resta al Quirinale perché “maiora premunt”, il nuovo capo dello Stato dev’essere anche lui “emergenziale”, condiviso e super partes. Insomma, non può essere Silvio Berlusconi, a meno che non lo votino tutti: Pd, Leu e 5 stelle compresi.
NON SOLO FINANCIAL TIMES
Guido Crosetto non è solo uno dei tre fondatori di Fratelli d’Italia. È anche un imprenditore che frequenta gli ambienti economici e finanziari. Intervistato oggi da Repubblica per analizzare e spiegare la tattica di Giorgia Meloni, sintetizza in poche parole una circostanza chiave della corsa al Quirinale. «Il voto non è libero», dice.
Concetto Vecchio gli chiede in che senso non sia libero. Risposta: «Nel senso che il premier oggi è il garante contro l’aumento dello spread. Se Draghi esce di scena parte una speculazione internazionale che metterà a rischio la tenuta del paese. A quel punto la gente andrebbe a cercare i parlamentari con i forconi».
Traduzione: Mario Draghi deve restare. O a palazzo Chigi (come vorrebbe il Financial Times) o al Quirinale. Se esce di scena, e per le ambizioni dei partiti, l’Italia rischia un terribile autogol economico-internazionale. Notevole e insieme curioso che lo dica, e con tanta chiarezza, proprio un esponente vicinissimo all’unico partito all’opposizione.
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