Chi fra i politici si trova nelle condizioni di decidere dovrebbe essere in grado di giustificare le sue scelte per la loro bontà in sé, non con la necessità di “vendere” le sue decisioni per fare fronte ai costi, passati, presenti e futuri, della (sua) politica
Fare politica è un’attività che richiede impegno e competenze, che si basa sulla capacità di ottenere voti e mantenere, nella buona e nella cattiva sorte, il sostegno dei votanti, non soltanto i singoli, ma i gruppi e le associazioni, prendendo decisioni, attribuendo risorse e cariche, infine, cercando di ottenere la rielezione tutte le volte che è possibile.
La rielezione spesso è uno degli indicatori del successo. Fare politica è un’attività che richiede professionalità, qualche volta appresa a vari livelli successivi, eccezionalmente ottenuta operando sul campo. Anche se ciascuno dei compiti e dei passaggi che ho delineato può essere ulteriormente precisato, chi fa politica prima o poi li incrocerà inevitabilmente tutti.
Naturalmente, ciascuno dei “politici” avrà, entro (in)certi limiti, la possibilità di scegliere le modalità con le quali, ad esempio, cercare il consenso/voto degli elettori, a maggior ragione se esiste il voto di preferenza, stabilire rapporti più o meno stabili e frequenti con quali gruppi, richiedere sostegno e collaborazione.
Il voto di scambio
Senza entrare nei particolari e nelle specifiche modalità oggetto dell’inchiesta e delle accuse rivolte dalla magistratura all’ex presidente della regione Liguria Giovanni Toti, è assolutamente importante tracciare la linea divisoria tra comportamenti leciti e comportamenti illeciti.
Sul voto di scambio, vale a dire quando il governante prende decisioni favorevoli a singoli/gruppi/associazioni che procedono a convogliare su di lui tutti i voti possibili, non ci sono dubbi. La legge lo sanziona come comportamento illegale, da punire.
All’interno di un complesso sistema di relazioni sociali e economiche può talvolta essere difficile, ma tutt’altro che impossibile, provare che uno o più scambi hanno caratterizzato quelle relazioni producendo vantaggi per i contraenti e, magari, anche danni per chi era rimasto escluso, peggio se sistematicamente, con il decisore ricompensato con dazioni di denaro: il costo della politica.
Anche no
In assenza di un adeguato sistema di finanziamento della politica (non dei politici), i decisori che ottengono/chiedono, ma spesso la situazione è tanto nota da non prevedere richieste esplicite, dazioni in denaro, giustificano la loro richiesta, così sembra si sia difeso Toti, ma soprattutto argomentano i suoi sostenitori, con la necessità di coprire i costi della politica.
Presumibilmente sono i costi delle (certo costose) campagne elettorali, della segreteria, del personale che tiene rapporti con gruppi, associazioni, imprenditori, operatori economici di vari tipi e settori. Quando succede così ci sono buone ragioni per temere che le politiche pubbliche formulate dal decisore rispondano non a criteri di efficienza e di efficacia, ma di convenienza. Anzi, è probabile che gli operatori economici meno capaci, quelli che in una gara trasparente non vincerebbero nessun appalto, nessuna commissione, nessuna carica, siano comprensibilmente i più disponibili a pagare.
Chi fra i politici si trova nelle condizioni di decidere dovrebbe essere in grado di giustificare le sue scelte per la loro bontà in sé, non con la necessità di “vendere” le sue decisioni per fare fronte ai costi, passati, presenti e futuri, della (sua) politica.
Oppure a rapporti pregressi nei quali le parti hanno rispettato i termini dello scambio cosicché la prosecuzione/ripetizione dello scambio appare meno rischiosa e fa risparmiare il tempo e le energie che sarebbero necessarie nelle trattative con nuovi contraenti. Incidentalmente, proprio perché il legislatore cercava di evitare che le reti di relazioni avviluppassero e soffocassero i processi decisionali decise di stabilire un preciso limite, non più di due, ai mandati dei sindaci e dei presidenti di regione.
Fare politica attraverso rapporti consolidati e di reciproco vantaggio a scapito della competizione, del “mercato”, con danno per la cittadinanza e molti gruppi esclusi, non è un modo accettabile di operare. Altrove, ma anche in Italia, molti casi alternativi dimostrano che si può fare politica e si può governare senza incoraggiare, accettare, praticare quella che nei fatti è corruzione.
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