Prima Enrico Costa, poi Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Giusy Versace. La diaspora da Azione non sembra ancora conclusa. Il partito di Carlo Calenda sta perdendo pezzi da novanta sul piano mediatico e anche seggi preziosi in parlamento, tutti in uscita verso il centrodestra: chi come Costa c’è già approdato ed è stato accolto a braccia aperte da Forza Italia, le altre stanno accuratamente costruendo un percorso di rientro che passa dal misto come primo passo verso Noi Moderati.

A propiziare il passaggio ci ha già pensato il presidente Maurizio Lupi, che ha cesellato una nota in cui parla di «grande rispetto per il disagio politico di chi si è impegnato per costruire una forza centrista e poi, pur non avendo una storia personale di sinistra, si è ritrovato di fatto nel campo largo» e per questo è necessario che il centrodestra si apra «agli amici impegnati in politica che vengono dalla nostra storia – persone come Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Giusy Versace – e che possono con la loro autorevolezza costruire un percorso per rafforzare l'area moderata».

Un invito chiaro ma democristianamente felpato, unguento dopo la staffilata d’addio alle tre di Carlo Calenda, il quale le ha definite «incoerenti».

Eppure, il passo nel centrodestra per le due difficilmente sarà indolore: su di loro, infatti, pesa ancora fortemente il veto di Forza Italia. In particolare, su Gelmini pesa il giudizio di Licia Ronzulli, su Carfagna di Fulvio Martusciello, è la vulgata interna. Per un via libera dovrà accadere qualcosa a piani alti, possibilmente sulla rotta di Arcore.

La rabbia

Così, tuttavia, la compagine parlamentare di Azione è ridotta al lumicino: oltre a Calenda al Senato regge solo Marco Lombardo, alla Camera invece i deputati sono rimasti in nove.

Il clima è infuocato in particolare contro Gelmini e Carfagna, tacciate di cambiare casacca dopo essere state accolte a braccia aperte pur avendo una storia politica pesante alle spalle. E Calenda – sempre fumantino – non ha fatto nulla per mascherare la rabbia. Eppure, si ragiona internamente, il danno elettorale sarebbe relativo: «Erano due volti riconoscibili, ma la rappresentatività elettorale è un’altra cosa. I voti li ha sempre portati Calenda».

Sintesi brutale e solo parzialmente vera, perché Mariastella Gelmini può ancora contare su una sua nicchia elettorale in Lombardia. Eppure c’è chi, come il componente della segreteria del partito Osvaldo Napoli, guarda il futuro con più ottimismo di prima: «Massimo rispetto per chi va via, ma trovo che in fondo sia stata una scelta chiarificatrice. Così ora non finiremo più sui giornali con i retroscena sul chi va e chi resta nel partito», ragiona. Quella che sembra grande confusione sotto il cielo di Azione renderebbe, invece, la situazione propizia.

Il punto dolente che ha motivato gli addii, però, è politico, tutt’altro che irrilevante: Carfagna e Gelmini, infatti, hanno rinfacciato a Calenda di essersi ormai quasi accasato nel Campo largo che Elly Schlein sta costruendo, senza che dentro al partito sia stato aperto un dibattito politico.

Niente di più falso, secondo Napoli: «Le chiarisco subito che l’adesione di Azione al campo largo non ci sarà mai». O meglio, «ci potrà essere solo un’adesione di volta in volta su base programmatica, come alle regionali».

Parole che potranno far poco piacere a Elly Schlein, tuttavia è un fatto l’adesione di Azione al Campo largo per tutte e tre le prossime regionali. In attesa che gli orizzonti si rischiarino, dunque, la fotografia del presente è quella di un partito in cui Calenda troneggia ma è sempre più solo con il suo 3 per cento, mentre lentamente i suoi eletti si sfilano per accasarsi altrove.

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