La guerra in Ucraina e in particolare l’uso delle armi occidentali per finalità di attacco e non solo di difesa rimane la questione più divisiva della politica italiana, nel centrodestra come nel campo largo in via di costruzione. Una radiografia perfetta di questo è stato il voto in Parlamento europeo della risoluzione sul sostegno all’Ucraina, dentro cui è contenuto il paragrafo 8 che «invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni sull’uso delle armi occidentali consegnate all’Ucraina contro obiettivi militari legittimi sul territorio russo».

L’intera risoluzione ha ottenuto il voto favorevole della plenaria con 377 voti a favore, 191 contrari e 51 astenuti, ma l’analisi delle posizioni dei partiti italiani mostra quanto la questione sia ancora un punto irrisolto per la politica estera del nostro paese.

Il centrodestra

Partendo da Fratelli d’Italia, che militano nel gruppo dei conservatori di Ecr e sono formalmente fuori dalla maggioranza di Ursula von der Leyen, i suoi eurodeputati hanno votato a favore della relazione nel suo insieme, mentre nel voto separato sul paragrafo 8 il voto è stato contrario, ma con due defezioni.

La Lega, invece, si è espressa sia contro la risoluzione che contro il paragrafo 8, in ossequio alle sue storiche posizioni che anche in Italia hanno fatto dire al leader Matteo Salvini che un voto favorevole a un nuovo decreto Armi sarà tutt’altro che scontato.

Forza Italia, invece, che siede con il Partito popolare europeo nella maggioranza a sostegno di von der Leyen, si è espressa a favore del testo della risoluzione ma si è divisa sul voto al paragrafo 8, su cui un europarlamentare ha votato a favore e gli altri quattro contro. La scelta è stata rivendicata dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha detto che il no all’emendamento sull’utilizzo di armi fuori dal territorio ucraino è «in sintonia con quello che ha sempre deciso il governo».

Tre partiti di governo in Italia, tre posizioni diverse in Europa su un tema che è stato caratterizzante nella politica estera di Giorgia Meloni, che anche nelle scorse settimane ha lavorato per rinsaldare il rapporto con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il quale sta sollecitando l’occidente a nuovi aiuti militari anche di attacco. Esattamente il passaggio su cui il governo italiano è ad oggi contrario.

Il centrosinistra

Anche il campo largo di Elly Schlein su questo tema non può sorridere. Hanno votato contro il testo complessivo della risoluzione i Cinque stelle, i Verdi e Sinistra Italiana, mentre il Partito democratico, che nella maggioranza europeista fa parte del Pse, ha votato a favore della risoluzione – ma i due indipendenti eletti nelle liste Pd, Marco Tarquinio e Cecilia Strada si sono astenuti – mentre la maggioranza dei suoi eletti si è invece espressa contro il paragrafo 8. Hanno fatto eccezione Elisabetta Gualmini e Pina Picierno, che hanno pubblicamente espresso la loro posizione favorevole. In numeri, sui 21 eurodeputati della delegazione Pd, dieci hanno votato contro, due a favore, mentre nove non hanno partecipato al voto.

Un guazzabuglio di posizioni, di distinguo e di diversi incastri di orientamenti difficile da nascondere, nonostante la linea del gruppo S&D sia quella di sottolineare che «non è la prima volta che le delegazioni votano secondo la loro posizione nazionale, ciò non significa divisione, ma piuttosto che ci sono sensibilità nazionali che segnano un certo voto e noi le rispettiamo. In ogni caso, hanno votato a favore nel voto finale su tutta la risoluzione». Peppe Provenzano, responsabile esteri della segreteria dem, ha invece tentato di stemperare la questione dicendo che la delegazione del Pd ha «riaffermato al Parlamento europeo la nostra posizione di solidarietà all'Ucraina e di impegno per una pace giusta», e «espresso contrarietà sul punto specifico relativo all'utilizzo delle armi in territorio russo, confermando la posizione politica manifestata a luglio e più volte espressa dalla segreteria».

L’effetto, sia nei partiti di centrodestra che di centrosinistra, è stato tuttavia quello di mettere in luce come l’Italia sia effettivamente il paese con una visione più divisa rispetto all’uso delle armi in Ucraina.

Il dato è significativo a livello interno in Italia, dove i partiti di maggioranza che su questo tema dovranno dare la linea di politica estera si sono divisi con orientamenti diversi. È però rilevante anche in Unione europea, dove il Pd, che aderisce ai Socialisti, e Forza Italia che fa parte dei Popolari, si sono mossi in modo non pienamente aderente ai rispettivi gruppi, che hanno votato nettamente a favore. Le defezioni nel gruppo del Ppe sono state sei, di cui tre di FI; tra i Socialisti i contrari sono stati 14 di cui nove appartenenti ai dem.

Trattandosi di una risoluzione, il testo votato non è vincolante e inoltre ribadisce quanto già votato in parlamento Ue il 17 luglio durante la prima plenaria della legislatura, tuttavia ha un forte significato politico che ha messo alla prova le famiglie europee in vista del futuro. Si è trattato però anche di uno stress test per la politica italiana, che sul punto si è scoperta a geometrie più variabili che mai.

E il tema rischia di tornare dolente più presto che tardi. Il governo di Berlino ha annunciato un nuovo pacchetto di assistenza militare alle forze armate ucraine e, secondo il giornale tedesco der Spiegel, intende rafforzare il sostegno militare all’Ucraina e, nonostante i fondi di bilancio siano esauriti, vorrebbe consegnare un nuovo stock di armi per un totale di 1,4 miliardi entro la fine del 2024.

La risoluzione votata, invece, ha ribadito l’invito agli stati membri a rispettare l’impegno di consegnare un milione di munizioni all’Ucraina e ad accelerare la consegna di armi, impegnandosi «collettivamente e individualmente a fornire sostegno militare all’Ucraina con almeno lo 0,25 per cento del loro Pil annuo». Proprio in questo senso, il voto in parlamento Ue mostra come per il governo muoversi in questa direzione sarà tutt’altro che agevole.

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