Dopo gli attacchi ucraini in Russa la Lega rumoreggia e anche il ministro Crosetto ha avanzato perplessità. Anche nel centrosinistra M5S e il Pd sono su fronti opposti. A unire è il biasimo nei confronti di Netanyahu
La speranza di Giorgia Meloni era quella di spegnere i riflettori sul governo per qualche giorno di riposo agostano anche dalle polemiche, ma l’escalation militare della guerra russo-ucraina è troppo grande per essere messa sotto il tappeto.
Così, mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky chiede all’Occidente di «revocare le restrizioni alle nostre azioni difensive», anche dentro la maggioranza si riapre inevitabilmente il dibattito sull’invio di armi. La voce fuori dal coro è quella della Lega, che da tempo cavalca posizioni più scettiche sull’impegno italiano senza se e senza ma sulla linea atlantista al fianco dell’Ucraina, ma anche dentro Fratelli d’Italia qualcosa si sta incrinando.
Matteo Salvini, infatti, da tempo solleva dubbi sull’invio di armi e nei giorni scorsi, all’indomani dell’attacco ucraino in territorio russo, e si è incaricato di consegnare questa linea anche ai suoi eurodeputati per contestare le mosse europee. Il generale Roberto Vannacci, primo degli eletti leghisti, ha detto che «le armi italiane non possono essere usate dagli ucraini in territorio russo, ma ora le stanno usando» e proprio il blitz ucraino dentro i confini di Mosca porterà certamente la Lega a nuove prese di posizione sul doppio fronte: interno al governo Meloni e all’Europarlamento.
Non solo, però. Nel giorno dei primi bombardamenti è stato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, a dire che, anche se l’Ucraina ha attaccato non per occupare territori ma come tattica di difesa per obbligare la Russia a ritirarsi, «l'attacco ad uno Stato sovrano, sul suo territorio, è sbagliato e condannabile in generale, chiunque lo faccia, anche in una situazione, teoricamente giustificabile, come questa». Parole che hanno richiesto un momento di chiarimento con la premier, ma non le fanno dormire sonni tranquilli.
In questo momento, infatti, per Meloni appare impellente soprattutto mostrare il suo volto istituzionale all’Europa di una Ursula von der Leyen che lei non ha sostenuto in parlamento europeo ma che è necessariamente sua interlocutrice. E la linea europea è: «L’Ucraina ha diritto a colpire il nemico ovunque ritenga necessario». Una linea a cui si è adeguato anche il governo italiano con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ma che non sarà facile far sostenere in modo compatto dalla maggioranza alla luce delle nuove iniziative belliche ucraine. Del resto, risuonano chiare nella testa di tutti, dentro l’esecutivo, le parole del vicepremier Matteo Salvini di giugno: «Se non avessimo la certezza assoluta, totale, che le armi non possano essere usate anche per bombardare e uccidere in territorio russo, avvicinando a una terza guerra mondiale, noi non voteremo più nessun decreto armi». Un avvertimento chiaro, che oggi suona come il presagio di un nuovo problema dentro la maggioranza. Un problema che investirà Meloni proprio su quello che lei considera il suo punto di forza: la sua credibilità in politica estera.
Il campo largo
Le guerre sul fronte ucraino e medio-orientale rischiano di mandare in tilt il centrodestra, ma su questo anche il campo largo in costruzione nel centrosinistra rischia di incagliarsi. La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha detto che «è vero che abbiamo idee diverse su come supportare l'Ucraina, ma siamo tutti d'accordo da subito sul chiedere il cessate il fuoco a Gaza. Le alleanze si fanno tra diversi e riusciremo a trovare una quadra». Tuttavia, è oggettivo che sulla questione ucraina il Movimento 5 Stelle si collochi su posizioni molto più simili a quelle della Lega che a quelle del Partito democratico. Giuseppe Conte, infatti, ha da sempre schierato il movimento contro l’invio di armi e – anche se in questo momento il partito è tutto proiettato verso il congresso autunnale – la linea è «No a più armi, no a questa escalation militare, no a questo conflitto dagli esiti imprevedibili». Anche l’Alleanza verdi sinistra ha scelto di votare per il no all’invio di armi, in un asse inedito coi grillini.
Il Pd, invece, ha sempre scelto la linea della fermezza anche di fronte agli attacchi in territorio russo, tanto che nei giorni scorsi ha criticato le parole del ministro Crosetto: «I passi indietro del governo italiano nel sostegno al diritto alla difesa ucraino sono un pessimo segnale, per l'Europa e per la tenuta della coalizione internazionale», ha scritto il senatore del Pd Filippo Sensi.
L’auspicio di Schlein, allora, è quello di trovare la quadra di coalizione almeno sui bombardamenti israeliani a Gaza. Su questo il campo largo si muove compatto, anche se con registri diversi. Conte ha chiesto di richiamare l’ambasciatore italiano a Tel Aviv e parlato di «sterminio sistematico messo in atto da un governo estremista che giustifica ogni massacro e teorizza una nuova "morale" che consente di far morire di fame due milioni di palestinesi». Schlein, invece, ha lanciato un appello alla comunità internazionale ed europea «perchè assumano immediatamente una iniziativa per fermare Netanyahu e raggiungere il cessate il fuoco. Il suo è un governo di estremisti che continua a minare il terreno su cui ricostruire la pace per il Medio Oriente». Sulla stessa linea anche i centristi di Carlo Calenda, che ha parlato di «contribuire con ogni mezzo ad imporre un cessate il fuoco immediato e un accordo per il rilascio degli ostaggi» e il leader di Avs, Nicola Fratoianni si è incaricato di fare la voce critica rispetto al governo: «Di fronte a quanto di drammatico avviene quotidianamente in quella zona martoriata, un sussulto di dignità e un'iniziativa diplomatica più decisa ed efficace non sarebbe male».
L’unica a non parlare, in questi giorni, è stata la premier Meloni, presa da un giro di colloqui internazionali proprio sulla situazione in Medio Oriente. Per confermare che, al netto della litigiosità nel suo esecutivo che va relegata a polemica interna, l’Italia è partner attivo sul fronte internazionale.
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