Il tentativo di riannodare il dialogo con il leader M5s passa da Genova. E da una fitta conversazione con Bettini, che ha un’altra idea di centro
Rimettere insieme tutti i leader – tutti tranne Renzi – riportarli su un palco a Genova, dove la corsa è iniziata nei giorni della detenzione di Giovanni Toti, convincere gli indecisi, affiatare i sostenitori in un’unica piazza. Insomma dare un segno: che un’alleanza in Liguria, almeno in Liguria, c’è e se la gioca fino all’ultimo voto. Nonostante Giuseppe Conte abbia certificato la «morte» del campo largo in piena campagna elettorale.
L’ultimo atto del centrosinistra, ultimo nel senso di quello di ieri, è un’ipotesi di réunion per il prossimo 25 ottobre per tirare la volata al candidato presidente Andrea Orlando. L’ipotesi era annegata nel gelo romano. Ieri invece il presidente M5s ha “riaperto”, i rossoverdi Fratoianni e Bonelli si sono subito associati (del resto sono loro che l’hanno convinto), anche Carlo Calenda ci sta. Figuriamoci Elly Schlein: «Noi siamo sempre stati testardamente unitari e continueremo a esserlo. Certamente siamo sempre stati disponibili e continuiamo a essere disponibili».
Era Conte ad aver cambiato idea. Dopo gli strappi intempestivi, ora può rimediare. Del resto a casa lui un risultato l’ha portato: ha fatto fuori Iv dall’alleanza ligure, ha messo il veto sul simbolo renziano nelle alleanza emiliano-romagnola e umbra. E ha scolpito un avviso alla segretaria Pd, a futura memoria. M5s è incompatibile con Matteo Renzi. Strappata la famosa foto dei due, Renzi e Schlein abbracciati alla partita del cuore a L’Aquila: sostiene Conte che ha sbagliato lei a invitare l’ex segretario Pd nel centrosinistra. Al grido di «nessun veto», senza neanche avvisare gli alleati.
Quella di Genova sarà l’ora di una riapertura di dialogo, anche personale? Conte racconta ai suoi che Schlein non gli risponde al telefono. Nelle occasioni pubbliche in cui sono stati entrambi presenti, non si sono rivolti la parola.
Una mano da Bettini
La segretaria in realtà qualche passo l’ha tentato. Una settimana fa, dopo la rottura Pd-M5s sul voto sul cda Rai, a Roma, alla presentazione del romanzo di Dario Franceschini, Aqua e tera. Lì è stata vista avvicinarsi a Goffredo Bettini, seduto in prima fila, e poi intrattenersi con lui in una fitta conversazione. Bettini è ormai l’unico del Pd che mantiene un legame amicale vero con il leader M5s. Il quale, a sua volta, non fa mistero di sentirlo spesso. A fine agosto l’ex europarlamentare e fondatore del Pd era stato il primo ad “avvisare” la segretaria, dalle colonne del Fatto, delle conseguenze del precipitoso ritorno all’ovile del leader Iv: «Giusto far cadere i veti, stravagante dare le chiavi dell’allargamento del centrosinistra a Renzi. L’ex premier ha esaurito un ciclo». A stretto giro Conte aveva esploso le polveri contro Renzi. E contro la segretaria che l’aveva, secondo lui, accolto.
Del resto Bettini ha tutta un’altra idea della ricostruzione del “centro” del centrosinistra, rispetto a quella di Renzi: «Aiutare l’emergere di un centro democratico deve essere un obiettivo concordato dall’insieme della coalizione; non uno strappo politicista solitario, che rischia di essere una bolla mediatica, piuttosto che una ricollocazione di parti dell’elettorato moderato». Serve un leader per quest’area. Ma non può essere uno che «ha finito il suo ciclo» e mette le dita negli occhi agli alleati, leggasi Conte. Conte che, a sua volta, in questo momento va lasciato combattere per il suo congresso. Che alzi i toni, ha spiegato Bettini a chi gli chiedeva, è «fisiologico». Quindi per ora ogni ragionamento sull’alleanza andrebbe rallentato. Anzi lasciato in disparte.
Schlein, del resto, del tema non vorrebbe parlare: ma deve rispondere pur qualcosa alle domande dei cronisti. È convinta che l’alleanza si componga non riunendo un tavolo – come le hanno chiesto Magi, Fratoianni e Bonelli – ma «sui temi», perché «ci sono tante battaglie che ci uniscono, e sono più dei temi che ci dividono». La coalizione verrà spontaneamente, a suo tempo, a valle della strada fatta insieme.
Non è detto che questa strada porti a quella meta. Intanto perché prima o poi bisognerà affrontare il tema della leadership della coalizione, e bisognerà darsi un metodo. Per il Pd il capo dell’alleanza è il leader del partito più grande, cioè Schlein; Conte vagheggia l’idea delle primarie, quelle che nel 2005 investirono Romano Prodi. In questo caso è convinto che avrà Avs dalla sua parte.
Lei su Renzi, nero su bianco
Su questa strada, ovunque porti, resta comunque il macigno Renzi. Conte giura che il M5s è «incompatibile» con Iv». Il leader di Iv lo sfida ogni volta che può, fra l’altro lo provoca dando per decisa la leadership di Schlein. Giovedì scorso in Senato, ha accusato pubblicamente La Russa di provare a arruolare in FdI una sua senatrice. Il riferimento era alla votazione sul giudice della Corte costituzionale, poi andata a vuoto. Ma il sottotesto, chiaro a tutti i parlamentari, è che Iv è affidabile perché sputtana i tentativi di scouting della maggioranza; altri no. Gli altri sono i Cinque stelle.
Schlein negli ultimi tempi ha smesso di usare l’espressione «niente veti», che fa saltare i nervi a Conte. Eppure quello che pensa di Renzi non ha bisogno di dirlo. L’ha scritto, di recente, nel libro-intervista L’imprevista, con la giornalista Susanna Turco, in cui ha ripercorso la sua biografia politica. Che è tutta segnata dal no a Renzi, sin dalla comparsa nell’orizzonte del Pd. L’ascesa alla segreteria dell’ex sindaco di Firenze viene definito un «evento che stravolgerà tutta la storia» del partito; la critica alla «rottamazione» è severa, «sentivo quel messaggio diverso e distante, sono sempre stata favorevole a un ponte intergenerazionale». Con Renzi, Schlein esce dal suo partito: la minoranza guidata da Pippo Civati è l’unica che critica le larghe intese del governo Letta, ma pure «gli unici a opporsi quando di lì a poco Renzi decise di staccare la spina al governo Letta, per proporsi lui», «in quella direzione nazionale fummo gli unici a votare contro la scelta di Renzi di andare lui a palazzo Chigi senza passare dalle elezioni». Poi arriva il Jobs act, «la rottura più forte». Schlein va in piazza con il sindacato di Susanna Camusso. Lo strappo definitivo, l’uscita dal Pd, al voto di fiducia sull’Italicum, casualità, era il giorno del suo compleanno.
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