- L’offensiva del fronte nordista della Lega contro Matteo Salvini per il leader del Carroccio è una «fantasia che va bene per Topolino», oggi però l’assessore Veneto e storico fondatore della Liga veneta, Roberto Marcato, ha chiesto che si facciano i congressi.
- Giovanni Fava, che è stato lo sfidante ufficiale di Salvini per la segreteria nel 2017 commenta: «Salvini non è più in grado di gestire il territorio». E chiede non solo il congresso della Lega Salvini premier, ma quello del vecchio partito, la Lega Nord.
- Tarda la nomina del nuovo sottosegretario al ministero dell’Economia. Dopo Durigon, si faceva il nome di Bitonci: «È un pezzo di puzzle veneto anche quello» dice Fava. Intanto «al governo c’è Giancarlo Giorgetti», che contro la linea Salvini ha detto che è pronto ancora una volta a votare l’estensione del green pass.
L’offensiva del fronte nordista della Lega, fino a pochi giorni fa, era per Matteo Salvini una «fantasia che va bene per Topolino». Ieri però è uscita dal mondo dei fumetti ed è diventata la richiesta di un congresso, anzi di congressi, formulata dall’assessore del Veneto e storico fondatore della Liga veneta, Roberto Marcato.
Giovanni Fava, che nella sua vita è stato sindaco di Pomponesco (provincia di Mantova), parlamentare della Lega e sfidante ufficiale di Salvini per la segreteria nel 2017, dà una lettura tranchant: «Salvini non è più in grado di gestire il territorio». E prosegue: «Per ora non perderà il suo posto di segretario, perché tutti tengono famiglia», ma il potere di Salvini sarà messo alla prova nelle prossime amministrative: «Nessuno può scalzarlo, ma non è più il Salvini di prima».
Il certificato verde
Il giorno stesso dell’estensione dell’obbligo di green pass e di vaccino, Rossano Sasso – il sottosegretario all’Istruzione leghista che entrando a far parte del governo aveva scambiato forse profeticamente Topolino per l’Inferno di Dante - aveva assicurato che la Lega aveva ottenuto alla Camera durante l’approvazione del primo decreto green pass varie piccole vittorie, dai prezzi calmierati dei tamponi per le persone fragili e i minorenni all’equiparazione dei tamponi salivari a quelli molecolari.
Tutti punti che in realtà rientravano in una “piattaforma programmatica” che il segretario della Lega aveva dovuto concedere ai governatori il 4 settembre.
Il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, lo ha ricordato ancora rispondendo alla Verità: «La linea di partito è sintetizzata in quel documento». E ha assicurato che non è in corso nessun processo a Salvini, nonostante il presidente del Veneto, Luca Zaia, quello della Lombardia, Attilio Fontana, e il presidente della conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, abbiano portato avanti una linea opposta a quella del leader: «Su un argomento delicato come quello del green pass è evidente che ci sono sensibilità diverse. Il compito del segretario è quello di trovare una sintesi».
A leggere l’intero accordo sottoscritto con i presidenti però, più che una sintesi, si trova un avvertimento. Nella lista infatti viene riconosciuto al primo punto il potere degli enti locali. Così il segretario è vincolato alla «promozione della campagna vaccinale, riconoscendo l’efficacia dell’impegno dei sindaci, delle regioni, della struttura commissariale e del governo».
Il sottosegretario
Prima che si aggiungesse la spaccatura del certificato verde, a far traballare il potere di Salvini, il 26 agosto sono arrivate le dimissioni dell’ex sottosegretario Claudio Durigon, il luogotenente leghista del centro Italia.
Il primo nome fatto come possibile sostituto è stato quello dell’ex sindaco di Padova, Massimo Bitonci, vicinissimo a Salvini e già passato da quel ruolo nel governo giallo-verde.
Nonostante sembrasse già pronto, dopo quasi 20 giorni non è arrivata nessuna nomina: «È un pezzo di puzzle veneto anche quello – spiega Fava -. Il Veneto è balcanizzato, e Marcato non è proprio un grandissimo alleato di Bitonci».
Il voto alle comunali «servirà per capire anche quanto potere ha ancora Durigon, anche se finora a Roma non si vede una cavalcata vittoriosa». Lo stesso Salvini non vede l’urgenza, nonostante il ministero dell’Economia sia fondamentale in vista della legge di Bilancio: «Tanto a trattare con il presidente del consiglio Mario Draghi, ci va direttamente Salvini».
La Lega Nord
Per Marcato «serve che si celebrino i congressi, locali e regionali. È un fatto di democrazia – ha detto a Repubblica -. Lo chiedono migliaia di militanti. E poi, insomma, noi della Lega siamo abituati così. Io sono entrato trent'anni fa, ricordo che poco dopo che mi tesserai partecipai subito a una riunione di sezione per eleggere il segretario». Non solo: «Io invoco congressi dalla primavera scorsa».
Mentre Salvini continua il suo tour elettorale (oggi è a Perugia, il giorno prima era a Caserta), i vecchi leghisti che non hanno intenzione di lasciare tornano a farsi avanti: «Le pulsioni sono tante – prosegue Fava -. Bisogna ricordare che bisogna fare anche il congresso della Lega Nord». Dopo l’affare dei 49 milioni di rimborsi elettorali, il partito è diventato una sorta di bad company a cui accollare i debiti lasciando le mani libere alla Lega Salvini premier.
Ma non tutti sono d’accordo: «Io e molti altri siamo ancora iscritti solo alla Lega Nord. Prima bisogna fare quel congresso, e dopo pensare alla Lega Salvini premier come dice Marcato. Per fare sì che sia chiaro cosa li lega e fare in modo che ognuno prenda la sua strada. In modo che ognuno decida se vuole stare in un partito nazionalista e sovranista, come è quello di Salvini, o continuare in un partito indipendentista a autonomista come è stato sempre la Lega Nord. La separazione è netta».
Nel frattempo Salvini fa da controparte a Draghi, sponsorizza i candidati e aggredisce la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese: «Ma al governo – conclude il leghista storico - c’è Giancarlo Giorgetti». Il ministro dello Sviluppo economico oggi, dopo aver votato la prima estensione del green pass in barba alla campagna di Salvini, ha dato un altro piccolo colpo al segretario: «Soltanto un contagiato, al netto delle conseguenze sanitarie rischia di far chiudere tutta l'azienda. Dobbiamo dare un sistema di certezze - ha concluso - sia sotto il profilo sanitario che sotto il profilo dell'organizzazione del lavoro».
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