La Corte costituzionale ha giudicato illegittime specifiche disposizioni della normativa sull’autonomia differenziata, bandiera leghista nell’azione del governo. Si tratta di disposizioni cardine, la cui incostituzionalità fa crollare l’intero impianto normativo
La Corte costituzionale si è espressa sulla legge in materia di autonomia differenziata, giudicando illegittime specifiche disposizioni del testo. E si tratta di disposizioni essenziali, la cui incostituzionalità fa crollare l’intero impianto normativo. Matteo Salvini vede così smontare dalla Consulta i cardini di quella che può essere considerata la bandiera leghista nell’azione del governo.
Dopo questa pronuncia, è probabile che la Cassazione reputi superato il referendum abrogativo della stessa legge.
La decisione della Consulta
Nelle premesse alla decisione, riportate nella nota diffusa nella serata di ieri, la Consulta riafferma una serie di paletti dei quali evidentemente gli autori della legge non hanno tenuto sufficientemente conto.
La Corte, infatti, riconoscendo la possibilità che le regioni ottengano forme particolari di autonomia, ribadisce «i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio». Inoltre, la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo – affermano i giudici – deve avvenire «in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione».
Sulla base di questi presupposti, la Corte ravvisa l’incostituzionalità di una serie di profili della legge. Tra gli altri, il conferimento da parte del parlamento al governo di «una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Lep) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento».
Insomma, la Corte rileva la tendenza dell’esecutivo ad accentrare in sé poteri che spetterebbero invece alle camere, tendenza che da molti è stata riscontrata anche in relazione alla riforma del premierato. Per non parlare della «previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei Lep», la quale rimetterebbe a una sola persona un potere decisionale destinato ad avere impatti rilevanti sulla vita di tutti.
Ancora, per i giudici è illegittima «la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito». Ciò premierebbe «proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni».
Incostituzionale è pure aver previsto «la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica». Insomma, chi affermava che la legge sull’autonomia differenziata avrebbe costituito una sorta di “secessione” delle regioni più “ricche” – quelle da cui più ci si aspetta la richiesta di autonomia – rispetto alle altre non aveva poi così torto.
Cosa accade ora
Ora, scrivono ancora i giudici, spetta al parlamento «colmare i vuoti» determinati dalla dichiarazione di incostituzionalità di alcune disposizioni. La Consulta non risparmia un’ultima stoccata al legislatore, ribadendo che, nel riempire normativamente tali vuoti, debbano essere rispettati «i principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge».
Uno smacco per il governo, specialmente per il leader leghista. Vale la pena di riaffermare che non sono i giudici a congiurare contro le politiche dell’esecutivo. È quest’ultimo che dovrebbe iniziare a prendere in considerazione, una volta per tutte, che aver ricevuto il voto degli italiani non lo pone in nessun caso al di sopra di principi dell’ordinamento.
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