A Genova, il concerto del quintetto dei leader nazionali del centrosinistra – Schlein, Conte, Bonelli, Fratoianni e Calenda – per la chiusura della campagna del voto regionale, non è sicuro. Al 25 ottobre, data dell’inizio del silenzio elettorale, mancano otto giorni. Ma le cose stanno ancora così. Al Nazareno si «spera» nel palco comune dei sostenitori di Andrea Orlando. Da Azione spiegano che a loro non è arrivata notizia di nulla di organizzato – peraltro, viene riferito, Calenda in quei giorni ha in agenda una conferenza programmatica in Veneto «fissata due mesi fa» –, i rossoverdi danno la cosa quasi per fatta, i Cinque stelle invitano a citofonare al candidato.

Nel capoluogo la chiusura all in è più che auspicata. In una piazza del centro, all’aperto, meteo permettendo. Quel giorno ci sarà lo scontro diretto fra le due coalizioni: a chiudere la campagna del candidato della destra Marco Bucci, ai Magazzini del Cotone, ci saranno Giorgia Meloni, Salvini, Tajani e Lupi. Per loro la notizia che i leader avversari non riescono a stare sullo stesso palco sarebbe una manna.

Candidato pancia a terra

Orlando non è il solo a giocarsi l’osso del collo nel voto regionale del 27 e 28 ottobre. Ma è l’unico a fare la sua parte senza risparmiarsi, da mesi, pancia a terra. Ieri ha onorato dieci appuntamenti nel savonese, ed è il suo ritmo di marcia praticamente quotidiano. Chiede a Bucci confronti diretti, sistematicamente rifiutati. Bucci si protegge: quando esce dal copione scritto, rischia la gaffe.

Come quella che gli è scappata nel confronto fra candidati alla diocesi di Genova. Parlava di denatalità. «Il grande messaggio», ha detto, è «che chi fa figli contribuisce al successo della nostra società. Tra di noi vorrei che tutti quanti avessero fatto figli». E si è girato verso Orlando, “reo” di non essersi riprodotto. La “colpa” di non avere figli fin qui era una classica odiosa accusa della destra verso le donne non madri; il sindaco l’ha estesa a un uomo non padre (poi negando l’allusione, ma inutilmente).

L’ex ministro ieri ha espresso solidarietà ai comuni coinvolti nell’esondazione del fiume Bormida. «Sto sentendo i sindaci coinvolti e ho dato la mia disponibilità per qualunque iniziativa che possa aiutare il loro lavoro. Ma non possiamo che ribadire quello che abbiamo detto, in una regione dove si racconta che tutto va benissimo, resta una grandissima fragilità del suolo e l’incapacità ad affrontare il tema del dissesto con un piano organico».

Il maltempo scaraventa il voto in secondo piano, in una regione in cui peraltro già l’incognita sono gli astensionisti. Secondo Nando Pagnoncelli, in un sondaggio pubblicato dal Corriere della sera, sono il 53 per cento. Nel restante 47, il candidato della destra sarebbe avanti di tre punti, ma è una quota vicina al margine di errore. Per questo Orlando moltiplica le chiamate alla mobilitazione. Spinge sulla continuità fra Bucci e l’ex presidente Toti, che rivendica molti “suoi” nelle liste. Insiste sulle liste «pulite»: Bucci ha candidato Stefano Anzalone, consigliere uscente, totiano, indagato per voto di scambio politico-mafioso.

Sulla sanità: uno studio dell’università Bocconi, su dati Istat, pubblicato dal Secolo XIX, indica Liguria come la regione in cui in media ogni cittadino spende 900 euro l’anno per curarsi nel privato. «È il dato peggiore in Italia. Come si può non sostenere la necessità di un cambio radicale sulla sanità?». Ce l’ha con la ricandidatura dell’assessore uscente Angelo Gratarola, «tra coloro che hanno contribuito allo sfascio del sistema pubblico ligure».

Coalizione e delizia

In molti suoi compagni di partito e di opposizione arrivano da Roma a dargli manforte. Domani sarà con Roberto Speranza a Savona, con Stefano Bonaccini a Imperia, e a Genova sarà accolto da un’iniziativa della Cgil con Maurizio Landini. Venerdì a Genova andrà Enzo Amendola. Sabato Pier Luigi Bersani, la presidente sarda Alessandra Todde ed Elly Schlein, per la seconda volta in regione. La sera a Savona ci saranno a Bonelli e Fratoianni. E lunedì Calenda, a Genova, con il candidato.

Grande attivismo, dunque. Forse per mettere una toppa alle tensioni romane che si sono riverberate sulla campagna ligure. O per una tardiva presa di coscienza collettiva: il risultato ligure avrà anche un valore nazionale. Schlein qui testa, per la prima volta dopo le europee, la sua presa da leader sulla futura coalizione; e misura l’efficacia della scelta di non mettere bocca fra gli alleati che litigano. Anche Conte rischia: se il centrosinistra non vince, avranno ragione agli anticoalizionisti del M5s (cioè Grillo). Lui ha acceso le polveri contro Iv alla vigilia della chiusura delle liste, ottenendone la cancellazione dei candidati.

Vinta la mano, ha chiesto di espellere il simbolo di Iv in Emilia-Romagna e in Umbria (problema che non si poneva, peraltro). Strattoni esibiti in interviste, che non hanno fatto bene allo spirito di coalizione. Il fallimento del centrosinistra consegnerebbe una suggestione che non lo rafforza: che il Pd con M5s, Avs e Azione, ma senza Iv, non vince, neanche con un candidato forte e radicato come Orlando, e neanche in una regione andata al voto anticipato per carcerazione (preventiva) del suo presidente (che poi ha patteggiato per corruzione e finanziamento illecito).

All’alleanza verrebbe a mancare l’abbrivio per le elezioni in Umbria e Emilia-Romagna di meno di un mese dopo. Salterebbe la possibilità di impensierire Meloni con una tripletta positiva. E si avvererebbe una previsione di Renzi. Una battutaccia pronunciata mesi fa, nei giorni delle manifestazioni del centrosinistra a Genova per chiedere le dimissioni del presidente: «Questi non riusciranno a vincere neanche con Toti agli arresti».

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