L’ex ministro dem farà un passo indietro se entro il fine settimana il nodo della candidatura non sarà sciolto dai vertici nazionali. «Il timore è che la regione sia diventata merce di scambio». I 5s propongono Pirondini, rimane il dubbio del sì a Renzi in coalizione
In Liguria, il campo largo del centrosinistra sta consumando lentamente tutto il vantaggio tecnico che sembrava ormai acquisito. «È la prima regione che va al voto e l’ultima a scegliere il candidato», ragiona un dirigente del Pd al lavoro sul territorio. Da che sembrava che il nome dell’ex ministro Andrea Orlando fosse certo e soprattutto condiviso in maniera ampia, ora tutto sembra essere fermo in un limbo incomprensibile.
Lui, che da settimane gira costantemente la regione e che un sondaggio coperto commissionato a Winpool dal Pd nazionale dà come candidato vincente con il 53 per cento dei consensi, ha staccato il telefono e continua a girare per piccoli e grandi centri in regione. Tuttavia ha confidato ai suoi il fastidio per quella che considera una «sottovalutazione» dell’importanza della Liguria da parte di tutto il centrosinistra. La scadenza che si è dato è quella di questo fine settimana, poi «se il problema sono io, mi faccio da parte ed è giusto che si valutino altri nomi» è la riflessione.
L’ultimatum è arrivato forte e chiaro soprattutto alla segreteria del Nazareno, dove sono rivolti gli occhi di tutti. Chi segue le vicende liguri spiega come il livello regionale del partito si sia riunito prima di ferragosto con tutti i consiglieri regionali di attuale opposizione: non si è parlato di nomi ma di punti programmatici.
Sanità, visto che la Liguria è tra le regioni più vecchie d’Italia e la giunta uscente lascerà con un buco che ha superato i 230 milioni di euro; infrastrutture e mobilità e cantieri, con in cima alla lista la diga di Genova, che con i suoi 1,3 miliardi di euro è il progetto più costoso del Pnrr ed è finita nel mezzo del caso giudiziario che ha coinvolto il governatore uscente, Giovanni Toti. Su queste linee di programma si sono trovati tutti d’accordo e anche i renziani hanno fatto capire di essere pronti ad esserci.
Poi, però, tutto si è fermato quando la questione del candidato è arrivata in mano al livello nazionale e lì è ancora immobile: «Siamo fiduciosi sul fatto che si trovi una soluzione, ci sono contatti con gli alleati», viene riferito dai vertici. Di qui però nasce la scelta di Orlando di chiedere una scossa: il tempo stringe e serve una verifica programmatica, poi va ragionato del simbolo e tutto va fatto entro le due settimane di settembre. Tradotto: «Siamo già in ritardo e il timore è che la candidatura in Liguria sia diventata gettone di scambio», riflette chi sta seguendo il dossier.
Il rapporto coi 5s
Di qui il fastidio di Orlando, che si è messo a disposizione di tutto il centrosinistra e ha sempre potuto vantare un ottimo rapporto sia con il leader Cinque stelle, Giuseppe Conte, che con gli altri vertici del movimento a partire dalla governatrice sarda Alessandra Todde. Nei mesi scorsi, del resto, un incontro informale tra Conte e l’ex ministro c’era stato, con un via libera di massima e solo una richiesta di tempo tecnico per un avvallo locale della candidatura.
Invece, le cose si sono complicate e il Movimento ligure ha avanzato il nome del senatore Luca Pirondini. In realtà, al netto della sorpresa iniziale, la contro candidatura non è stata interpretata dai dem come una dimostrazione di aperta belligeranza ma più come una tattica per dare corpo ad un Movimento in difficoltà, nel bel mezzo dello scontro tra Conte e Beppe Grillo e consapevole che alle regionali superare la doppia cifra potrebbe essere complicato.
Tra il senatore 5s e Orlando i contatti ci sono – «non è un dialogo tra sordi», è stato assicurato – e lo stesso Pirondini ha detto a Repubblica che la sua «non è una candidatura contro Orlando né contro il progetto di campo largo», ma «un segnale di assunzione di responsabilità del Movimento». Eppure, è fisiologico che un altro nome sul tavolo renda più complicata la trattativa. Con una differenza, acutamente sottolineata dal presidente del Pd, Stefano Bonaccini, Orlando «non è una candidatura di partito, ma la candidatura non scontata di una personalità nazionale a mettersi in gioco nella propria comunità»: un candidato fisiologicamente di coalizione, quindi.
Proprio questo è l’altro tema sottostante: di che coalizione si parla? A far discutere è la situazione genovese, dove Italia Viva siede in maggioranza con il centrodestra del sindaco Marco Bucci e che per questo ha già incassato il veto dei Cinque stelle. Eppure, fonti di Italia Viva – confermate anche dal fronte del Pd – hanno chiarito che Renzi sarebbe «pronto a sciogliere la contraddizione, mollando Bucci se si chiuderà l’accordo per le regionali».
Del resto, anche una ex dem che proprio con l’ex ministro si scontrò violentemente come Raffaella Paita ha detto che «non c’è nessun veto su Orlando». Se così fosse, un accordo programmatico per un campo larghissimo sarebbe potenzialmente a portata di mano. Eppure, da Roma tutto continua a tacere e almeno sulla carta non sono previsti vertici tra la segretaria Elly Schlein e Conte.
Il tempo, comunque, è agli sgoccioli. Se davvero Orlando si tirasse indietro per scadenza dei termini da lui fissati, per il campo largo la partita si complicherebbe e non poco: bruciato il vantaggio competitivo sulla destra chiudendo su un candidato senza lungaggini e tentennamenti, anche la strada per unire il campo largo si farebbe più lunga e anche la presenza di Italia viva tornerebbe in discussione.
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