- Il sindaco della capitale Roberto Gualtieri ha annunciato la costruzione di un termovalorizzatore in grado di bruciare 600mila tonnellate di rifiuti indifferenziati all’anno, un regalo per la città che sarà pronto entro il Giubileo, previsto nel 2025.
- Secondo il piano rifiuti approvato dalla giunta di Nicola Zingaretti, presidente della regione Lazio, l’inceneritore disincentiva la raccolta differenziata, che a Roma è già bassa e di scarsa qualità (è al 44 per cento, ma l’Ue chiede che il porta a porta arrivi al 65 per cento).
- Tra gli interventi del Pnrr non possono essere finanziati inceneritori e discariche, una richiesta che è arrivata dall’Europa, che punta a favorire la gestione nobile dei materiali tramite il riciclo e il riuso.
Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha annunciato la costruzione di un inceneritore in grado di bruciare 600mila tonnellate di rifiuti indifferenziati all’anno, un regalo per Roma che sarà pronto entro il Giubileo, previsto nel 2025. Il primo cittadino della capitale riesce con un colpo di scena a fare felice il segretario del Pd Enrico Letta, ma anche la Lega, le industrie pesanti che forniranno le macchine, le agenzie interinali che dovranno trovare qualche centinaio di lavoratori e le società del settore che si contenderanno la costruzione del mega forno.
Il governo metterà il cappello sull’operazione, allargando probabilmente i poteri del commissario ed emanando l’ennesimo stato di emergenza con cui evitare leggi e regole, come insegna la storia della gestione dei rifiuti da Napoli e della stessa capitale. Ma l’inceneritore previsto serve davvero? Cosa dicono i numeri?
La rivoluzione di cartapesta
Quando nel 2019 il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha presentato il piano rifiuti ha parlato di «rivoluzione nel settore». Il piano è stato poi approvato nel 2020. Ma la rivoluzione annunciata dal presidente non ha previsto neanche un impianto di incenerimento. Ha chiuso definitivamente, invece, uno degli impianti esistenti, quello di Colleferro che bruciava 150mila tonnellate di pattume all’anno.
«Era da mettere a nuovo con un intervento strutturale, con 120 milioni di euro si poteva avere un impianto perfetto in grado di bruciare 250mila tonnellate all’anno, ma la regione ha perseguito la strada di chiudere il forno e non prevederne un altro, oggi con questa scelta si condizionano i prossimi vent’anni», dice un ex dirigente Ama, l’azienda pubblica del comune di Roma che si occupa dei rifiuti.
Ma cosa è stato scritto nel piano regionale e perché ha bocciato gli inceneritori? L’Ue ha chiesto all’Italia, così come agli altri paesi dell’Unione, di applicare entro il 2035 il modello 65-25-10. Quel 65 indica l’obiettivo di riciclo, ovvero di raccolta differenziata che deve arrivare al 65 per cento. La capitale è ferma al 44 per cento, con una raccolta non porta a porta ma tramite i cassonetti. Una modalità “sporca” che abbassa la percentuale reale.
La raccolta differenziata prevede la separare delle frazioni: carta, plastica, vetro, metalli e umido. Nel centro sud, anche a Roma, un terzo dei rifiuti prodotti ogni giorno è rappresentato dagli scarti alimentari. La capitale ha un solo impianto di compostaggio, a Maccarese, che necessita di manutenzione e non soddisfa il fabbisogno della popolazione residente.
Il viaggio dell’immondizia
Così ogni giorno l’Ama trasporta fuori regione l’umido da trattare. I viaggi scostano 150 milioni di euro all’anno. Come impatta il termovalorizzatore annunciato dal sindaco sulla differenziata?
«L’incenerimento vincola i quantitativi di rifiuto indifferenziato che gli enti locali devono obbligatoriamente assicurare da contratto, non permettendo lo sviluppo di piani e progetti innovativi che tendono, invece, a ridurre quelle quantità di rifiuto indifferenziato lavorando in maniera sempre più efficiente sulle azioni di riduzione e sulle azioni per il miglioramento della qualità dei materiali derivante da raccolte differenziate, sempre più evolute ed efficienti», si legge nel piano regionale.
Insomma, l’attivazione di un inceneritore disincentiva la raccolta differenziata, che a Roma è già bassa e di scarsa qualità. Il piano della regione stima anche la capacità di fabbisogno di incenerimento: nello scenario peggiore e definito “inerziale”, con una raccolta differenziata al 65 per cento, il fabbisogno di termovalorizzazione è di 230mila tonnellate all’anno. Nello scenario che il piano definisce “minimale”, con una raccolta differenziata al 70 per cento, il fabbisogno cala a 182mila tonnellate.
Gualtieri ha annunciato la costruzione di un inceneritore da 600mila tonnellate. Ma il Lazio ha già un impianto, quello di san Vittore, che ad oggi brucia 380mila tonnellate (in parte fanghi). Ed è in corso l’iter di accensione della quarta linea. L’inceneritore, si legge nel piano, può soddisfare l’intero fabbisogno regionale.
Dal comune, però, fanno sapere che il piano di Zingaretti è stato troppo ottimistico, perché prevedeva una riduzione dei rifiuti e un aumento della raccolta differenziata, entrambi obiettivi falliti. In realtà l’anno di riferimento per la completa realizzazione del piano è il 2025, ci sarebbero quindi altri tre anni per renderlo realizzabile. Nonostante questo il sindaco propone il bruciatore come soluzione finale, proposta mai annunciata durante la campagna elettorale.
Arrivederci Greta
L’inceneritore potrebbe costare circa 700 milioni di euro. Ma dove verranno prese le risorse? Si parla di un accordo con il governo per utilizzare i fondi del Pnrr, il piano di ripresa e resilienza. Ma nei bandi, tra l’altro chiusi, per il settore rifiuti e l’economia circolare sono esclusi gli inceneritori e le discariche. La richiesta arrivata dall’Ue è di favorire la gestione nobile dei materiali, quindi tramite riciclo e riuso.
I soldi così dovrebbero arrivare dal piano Giubileo, che si compone di fondi nazionali e di fondi provenienti dal Pnrr. I 700 milioni di euro saranno in parte pubblici e in parte dei privati che costruiranno l’impianto sotto il controllo pubblico.
Il problema di un impianto del genere è anche la sua efficienza, la capacità di catturare l’energia che emette. «È un impianto che ha un’altissima produzione di ceneri, si può arrivare anche al 30 per cento dei rifiuti in ingresso. Una parte delle ceneri si può certamente recuperare, ma ha un costo economico e ambientale. Ogni ciclo industriale, infatti, ha un consumo energetico e un costo di trattamento. Quelle che non si recuperano si smaltiscono come rifiuti in discarica», dice Paolo Rabitti, ingegnere e consulente di diverse procure.
Ma produrrà energia elettrica? «La capacità di produrre energia dall’incenerimento di rifiuti indifferenziati è minima rispetto agli inceneritori che bruciano Css (combustibile solido secondario, ndr) o simili, perché i materiali che producono energia, carte e plastica, sono mescolati con l'umido e gli inerti. In questo modo il potere calorifico è circa un terzo degli altri impianti che bruciano, invece, rifiuto selezionato. L’impatto ambientale è notevole, è un impianto sottoposto a rigidi controlli, ma visto che brucerà un grande quantitativo di rifiuti, avrà una rilevante quantità di emissioni. Un impianto che è contro ogni politica finalizzata alla transizione ecologica», dice Rabitti.
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