Anche Conte chiede chiarimenti alla premier. Renzi attacca l’Agenzia per la cybersicurezza. Nei partiti di maggioranza c’è imbarazzo e cresce la preoccupazione per l’esito delle perquisizioni
La narrazione vittimistica di Giorgia Meloni rischia di non funzionare più. Si è infranta contro la rete degli hacker che hanno messo in piedi la centrale dei dossier a Milano.
Le trame oscure, i complotti dei poteri forti orditi dagli avversari sono stati agitati dalla leader di Fratelli d’Italia, ma in poche ore sono diventati un argomento debole per la destra. Anzi, stanno per trasformarsi in un boomerang.
Le opposizioni hanno infatti chiesto un chiarimento direttamente alla presidente del Consiglio dopo l’inchiesta di Milano che ha scoperchiato «la banda dei dossier», come l’ha definita Giuseppe Conte, con un ruolo centrale (stando alle carte dell’inchiesta) di Enrico Pazzali, titolare della società Equalize, presidente della fondazione Fiera di Milano e soprattutto uomo di punta della destra in Lombardia.
La richiesta del Pd
Il Pd ha rotto gli indugi e ha sferrato l’attacco. «Siamo di fronte ad un sistema di sicurezza del Paese che fa acqua da tutte le parti e che, come è evidente, viene usato dalla destra al governo per pericolosi dossieraggi e faide interne», hanno scritto in una nota i capigruppo di Camera e Senato, Chiara Braga e Francesco Boccia, con tanto di richiesta rivolta alla presidente del Consiglio «di riferire in parlamento».
Anche perché qualcosa non ha funzionato nell’apparato dei controlli. A puntare il dito contro l’inefficacia dei meccanismi di protezione è stato Matteo Renzi: «Ma vi sembra normale che l’agenzia per la cybersicurezza non sia in grado di bloccare questo colabrodo? Qui si viola non solo la privacy, ma la Costituzione», ha detto.
Il leader di Italia viva ha quindi accusato Bruno Frattasi, direttore dell’agenzia della cybersicurezza, nominato dal governo Meloni: «Un prefetto che di cybersicurezza non è troppo esperto e che, invece di occuparsi di cybersicurezza, va sul palco della Meloni a Pescara a dire che Meloni cambierà l’Europa».
Un rebus per l’esecutivo. Alla prossimità politica della destra con Pazzali (era il possibile candidato civico di centrodestra alle comunali di Milano) si somma dunque l’incapacità del governo di proteggere adeguatamente i dati.
Nel centrodestra Maurizio Gasparri è uno degli ultimi giapponesi nella giungla. Il capogruppo di Forza Italia al Senato si è infatti concentrato sulle vicende dei conti correnti spiati da Vincenzo Coviello e sull’inchiesta di Perugia in merito agli accessi ai database del tenente della Finanza, Pasquale Striano.
E se l’è presa ancora con il suo bersaglio preferito, l’ex procuratore Federico Cafiero de Raho, ora deputato dei 5 stelle: «Spieghi cos’è successo». Ha così gioco facile Giuseppe Conte a ribaltare il fronte: «Dall’enorme caso milanese della banda dei dossier emerge che, a dover dare spiegazioni, sono esponenti del centrodestra oltreché del mondo imprenditoriale».
Insomma, la narrazione del governo mostra crepe. «Vedremo se chi ieri infangava De Raho gli chiederà scusa dimostrando quantomeno senso dell’onore», ha incalzato il leader del Movimento 5 stelle. Il leader di Europa Verde, Angelo Bonelli, è stato tra i primi a sottolineare il cortocircuito che si è innescato sul piano della comunicazione: «Per mesi, la presidente Meloni ha evocato complotti. Eppure, le notizie che emergono dall’inchiesta di Milano dimostrano che esponenti di destra spiavano altri esponenti di destra e non solo».
Paura perquisizioni
Di certo la maggioranza – da Fratelli d’Italia a Forza Italia passando per la Lega – guarda con preoccupazione all’esito delle perquisizioni nel timore di possibili sviluppi della vicenda, sebbene Ignazio La Russa si sia detto «disgustato» delle ricerche sul suo conto.
Nella Lega prevale una prudenza imbarazzata. Il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, non ha scaricato Pazzali. «È una persona che ho sempre stimato e che continuo a stimare. Da presidente Fondazione Fiera Milano ha svolto un lavoro eccellente», ha detto il governatore lombardo e dicendosi «stupito» dalla vicenda del dossieraggio.
Sull’ipotesi di chiedergli un passo indietro, Fontana ha temporeggiato: «Ne parlerò col sindaco Sala, ci dovremo incontrare perché la nomina è stata fatta in maniera congiunta». E intanto sul presidente della Fondazione Fiera di Milano pende la richiesta della dda di Milano, che ha depositato al tribunale del Riesame la richiesta di 13 custodie cautelari in carcere per gli indagati, tra cui Pazzali. La decisione arriverà nelle prossime settimane.
In questo clima addirittura il leader del partito Matteo Salvini, sempre solerte nelle dichiarazioni, è entrato nella questione con una nota molto sobria: «Dobbiamo aumentare le pene». Da qui l’ipotesi di un decreto ad hoc o comunque di una stretta normativa con altri strumenti, confermato da altri ministri, come quello della Giustizia, Carlo Nordio.
Oltre all’inasprimento delle pene, il mood nei partiti della maggioranza è quello di prendersela –con gli «spioni» in generale, mettendo tutto in unico calderone. Ma senza calcare la mano. Nessuno si è stracciato le vesti di fronte all’accaduto, il solo ministro della Difesa, Guido Crosetto, è intervenuto ma solo per rivendicare le proprie denunce.
Si è accodato il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ricordando una sua vicenda personale: «Hanno violato la mia mail nella scorsa legislatura quando ero presidente del Copasir». L’ordine è di urlare, come ha fatto Meloni, «all’eversione». Senza concentrarsi troppo su responsabili e possibili mandanti.
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