Se l’intento era quello di scuotere la politica e suscitare una reazione da parte di tutto l’arco costituzionale, la conferenza stampa “Non c’è pace senza giustizia. Verità per Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo”, convocata il 12 settembre presso la sala stampa della Camera e organizzata dall’Associazione amici di Luca Attanasio, ha avuto certamente successo.

Oltre a Salvatore Attanasio, padre dell’ambasciatore ucciso in Congo nel febbraio del 2021, Rocco Curcio, legale della famiglia, e Dario Iacovacci, fratello del carabiniere di scorta che ha perso la vita nello stesso attentato assieme all’autista congolese del Pam Milambo, erano presenti e hanno preso la parola i rappresentanti di tutti i partiti che siedono in parlamento, dando seguito alla richiesta di famigliari, avvocati, amici e cittadini di dare una dimensione politica a un caso che, nonostante la sua rilevanza, rischia l’oblio.

I processi

I due grandi processi innescati all’indomani del drammatico evento, quello in Congo che ha condotto all’arresto e alla condanna all’ergastolo di sei presunti esecutori dell’agguato e quello intentato dalla procura di Roma nei confronti dei funzionari del Pam Rocco Leone e Mansour Rwagaza accusati di omicidio colposo e omesse cautele, hanno lasciato dietro di sé molti dubbi (e poche certezze).

Ma soprattutto quest’ultimo, dopo tre anni di indagini, di avvisi di garanzia e di inazione del governo che ha scelto di non costituirsi parte civile, ha finito per essere un "non processo” visto che la procura si è trovata a costretta ad accogliere le richieste del Pam, organismo internazionale che gode di immunità diplomatica per i suoi dipendenti, e ripiegare su un «non luogo a procedere».

È paradossale che uno stato il cui ambasciatore è stato ucciso assieme al suo carabiniere di scorta, pur sapendo per certo che due individui – Leone e Rwagaza – siano accusati quantomeno di omesse cautele e omicidio colposo anche da una indagine interna dell’Onu, non faccia nulla perché gli stessi vengano giudicati. E si accontenti di una improcessabilità che chiude definitivamente il caso per «evitare il rischio di contenzioso con l’Onu e una possibile condanna alla Corte internazionale di giustizia», come ha affermato il ministro Antonio Tajani lo scorso 30 luglio nel corso di una interrogazione presentata da deputati di Italia viva.

Indagini opache

È giusto, quindi, che la questione esca dai binari esclusivamente giudiziari (da cui, peraltro, è già sostanzialmente uscita senza il minimo risultato) e, vista la lontananza dalla verità, sia la politica a farsene carico. E che la politica sia messa al corrente nel dettaglio delle infinite incongruenze che accompagnano da sempre la gestione del caso.

«A partire dal metodo investigativo» ha esordito Rocco Curcio, il legale della famiglia Attanasio che ha evidenziato «l’esclusione inspiegabile di testimoni diretti, il ritardo dell’intervento degli inquirenti con molti testimoni sentiti dopo 13 giorni dall’omicidio, quando in qualsiasi indagine vanno ascoltati al massimo qualche ora dopo».

«Senza dimenticare – ha aggiunto Salvatore Attanasio – che ai Ros è stato vietato di recarsi sul luogo del delitto e sono rimasti a 2.000 chilometri di distanza. Non hanno mai visto i veicoli su cui viaggiava il convoglio, mai potuto interrogare i testimoni del luogo del delitto, non c’è mai stato rilievo balistico e diverse rogatorie sono state totalmente ignorate».

«Mi domando – ha tuonato Dario Iacovacci – se in altri paesi ci si sarebbe accontentati di un non luogo a procedere. Uno stato che agisce così e si arrende a limiti transnazionali non è credibile».

Le reazioni della politica

Dopo i primi indirizzi la palla è passata alla politica. La trasversalità mostrata dagli interventi che andavano da Stefania Ascari (M5S) a Stefania Pucciarelli (Lega) passando per Maria Chiara Gadda (Iv) Marco Lombardo (Azione), Giulio Terzi Santagata (FdI), Fabrizio Sala (FI), arrivando a Pierfrancesco Majorino (Pd) e Tito Magni (Avs), è stata sicuramente un fattore positivo e apprezzato da tutti vista la clamorosa urgenza che le istituzioni italiane hanno di lavorare e contribuire a fare chiarezza in uno dei casi più drammatici ed eclatanti del dopoguerra.

Ma, com’era inevitabile, sono emerse varie discrepanze. Perché se è vero che i risultati sono stati fin qui scarsissimi anche grazie a una serie di vicissitudini oggettive, è anche innegabile che a ciò ha contribuito la poca incisività dei governi succedutisi dal 2021 a oggi, specie dell’ultimo.

«Non si può accettare che la prassi delle diplomazie impedisca al processo di svolgersi – ha detto Gadda – specie quando vengono uccisi due servitori dello stato». «Stiamo umiliando la storia di Attanasio e di Iacovacci – ha sottolineato Majorino – e il ruolo delle istituzioni. Si fa tanta retorica su stato, patria e servitori e poi ci viene detto che dobbiamo fermarci e accontentarci di un non luogo a procedere».

In serata è arrivata una nota della moglie dell’ambasciatore Attanasio, Zakia Seddiki, in cui la donna ha reso noto di «essere totalmente estranea all’iniziativa alla Camera dei deputati» e ha preso «le distanze da quanto emerso nel corso dell’evento».

© Riproduzione riservata