Giuseppe Conte si contraddice sul bonus tablet della Camera, sostenendo che il Movimento «non è riuscito a evitarlo», quando il questore Filippo Scerra aveva spiegato la genesi del provvedimento da lui condivisa. Per ottenere fondi per il partito, intanto, rivendica la restituzione del Tfr da parte dei dimaiani
La settimana del Movimento 5 stelle è stata dominata da questioni finanziarie. Da un lato, dopo l’indignazione collettiva per il bonus natalizio per l’acquisto di strumenti tecnologici da 5.500 euro della Camera, il leader dei Cinque stelle Giuseppe Conte ha raccomandato di donare tablet e computer acquistati a spese di Montecitorio alle scuole in difficoltà, spiegando che «non siamo riusciti a bloccare la determina di novembre, facciamo un gesto simbolico per gli istituti che sono senza dotazioni tecnologiche».
Una posizione azzardata, dopo che il questore Cinque stelle Filippo Scerra aveva risposto alle critiche sollevate da giornali e opinione pubblica spiegando la genesi della norma, votata anche dal Movimento: nella sua obiezione non c’è riferimento a un tentativo di bloccare la norma.
La questione Tfr
Dall’altro, Conte ha chiesto ai dimaiani, gli ex Cinque stelle che a giugno scorso hanno lasciato il Movimento per accodarsi al ministro degli Esteri che insieme a Bruno Tabacci ha fondato Impegno civico, di restituire una quota del loro Tfr. La cifra che secondo l’ex premier i parlamentari dell’ultima legislatura dovrebbero al Movimento si aggirerebbe sui 30mila euro, due terzi della liquidazione totale, pari a circa 44mila euro: un calcolo che fa riferimento alle vecchie norme sulle restituzioni istituite da Luigi Di Maio quando era lui a essere capo politico.
Nel 2018 infatti il Movimento chiedeva ai propri parlamentari uscenti di restituire l’intera quota, regola a cui hanno dato seguito solo pochi parlamentari, tra cui Alessandro Di Battista. Dopo il primo ammorbidimento della norma a firma Di Maio, oggi Conte vorrebbe una soluzione ancora più soft, che chiederebbe ai parlamentari che hanno lasciato Senato e Camera un contributo di solo il 20 per cento.
In base a quanto è filtrato nei giorni scorsi, non è ancora chiaro se si cercherà di recuperare il gruzzolo. In un primo momento erano stati evocati addirittura decreti ingiuntivi facendo leva sulle regole a cui gli aspiranti parlamentari si sono rimessi quando fu presentata la loro candidatura, ma più avanti i toni si sono ammorbiditi. Al Fatto quotidiano il M5s ha spiegato che «i parlamentari dovrebbero tenere fede a un obbligo assunto a suo tempo, nero su bianco. E sarebbe opportuno che ciò accadesse, ma non c’è alcuna certezza che il M5s procederà con decreti ingiuntivi».
Secondo i 60 transfughi, nell’accordo sulla candidatura non era specificato a chi si dovesse andare la restituzione di una parte dell’assegno. Un punto da non sottovalutare, considerato che Conte sta mettendo mano anche alle norme che regolano le donazioni in beneficenza a cui erano inizialmente destinate le restituzioni del Movimento.
Una parte dei soldi che i parlamentari danno indietro mensilmente finisce infatti già dritto nei conti del partito. I transfughi potrebbero quindi far leva sul cambiamento dello scopo delle restituzioni per dimostrare che, essendo mutata la destinazione del denaro, non sono più legati dal patto sottoscritto in occasione della candidatura.
La maggiore necessità di fondi per finanziare l’attività di partito deriva dal fatto che i parlamentari Cinque stelle in questa legislatura sono molti di meno e di conseguenza si sono ridotti i contributi del parlamento: anche la struttura del gruppo parlamentare deve affrontare spese ingenti, vista l’assunzione di alcuni ex deputati e senatori non ricandidabili, come Paola Taverna e Vito Crimi, a cui potrebbero secondo le indiscrezioni aggiungersi altri grillini in cerca di una collocazione dopo la fine del mandato parlamentare.
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