Il dado è tratto, la parola «scissione» ormai rimbalza nei comunicati e nelle interviste, e ieri solo le dimissioni del ministro Gennaro Sangiuliano hanno regalato un momento di tregua allo scontro interno. Il Movimento cinque stelle entra ufficialmente nel mondo della sinistra con una rottura interna, esattamente come in altri tempi è successo ai partiti d’area.

E classicamente l’ala leale al presidente Giuseppe Conte, maggioritaria, parla della rottura per negarla, quella schierata con Beppe Grillo per ammetterne l’ineluttabilità. Ma chi esce e chi resta?

Buon viaggio Conte

Con il garante che vede – stavolta – come fumo negli occhi l’avvicinamento al Pd, si schierano alcuni “senatori” del movimento. Che pure quando erano nelle istituzioni hanno dato formidabili esempi di vicinanza al Pd e alla coalizione.

Come Roberta Lombardi, ex assessora della regione Lazio con Nicola Zingaretti, e formidabile avversaria interna della grillinissima Virginia Raggi. Ieri invece alla Stampa ha affidato il suo commiato al frontismo: «Conte proseguirà il suo percorso con il suo partito e il suo gruppo di persone, mentre Beppe Grillo dovrà proteggere l’idea originale del M5s, sua e di Gianroberto Casaleggio, che tanti di noi hanno abbracciato con convinzione».

Il progetto M5s era «biodegradabile», spiega, «è giunto il momento di accettare la sua dissoluzione e, per chi ancora come me si identifica in quei valori, tornare a fare politica nella quotidianità, attraverso movimenti d’opinione, come consumatori attenti, come parte di una “lobby virtuosa”». Conclusione: «Buon viaggio, presidente Conte, con la tua nuova creatura politica. E grazie Beppe Grillo, per averci portato fin qui e per permetterci di rimanere fedeli a noi stessi».

Della stessa idea l’ex ministro Danilo Toninelli, in pieno ritorno della fiamma politica e del radicalismo della prima ora: «Conte potrebbe fondare il suo partito, magari alleandosi stabilmente con il centrosinistra, mentre Grillo terrebbe il simbolo e i principi fondativi come il limite dei due mandati, il taglio degli stipendi e la democrazia diretta».

Il legal thriller

Dall’altra parte vengono suonate le campane di Conte. La cui leadership è «salda», secondo il capogruppo alla Camera Francesco Silvestri. Che è poi la scommessa anche degli alleati Pd e Avs. Ma l’esito dell’arzigogolato congresso resterà aperto almeno fino a ottobre. Si svolge in tre fasi. La prima, nella quale gli iscritti potevano inviare proposte in modo anonimo su temi, organizzazione e statuto, si è conclusa ieri.

La seconda, a ottobre, sarà un’assemblea di 300 iscritti selezionati a sorteggio e divisi in tavoli tematici. Le proposte in discussione saranno quelle più cliccate sul portale. Confluiranno in documenti di sintesi che a loro volta saranno votati nella terza fase, quella delle decisioni finali.

Ma è già un legal thriller: Conte viene accusato di fare l’azzeccagarbugli sul ruolo del garante, a cui però spetta, secondo Grillo stesso, «l’interpretazione autentica» dello Statuto. Di certo ha in mano la possibilità di far ripetere le votazioni.

Ma per il resto la lettura delle carte viene contestata dal deputato Alfonso Colucci, che siede nell’organo di controllo del Movimento che “vigila” sul rispetto dello Statuto, dei regolamenti e delle deliberazioni: un’interpretazione troppo estensiva del suo ruolo «configurerebbe un potere padronale e di natura feudale, che contrasta con un principio fondamentale: l’assemblea è sovrana, come in ogni associazione».

La coalizione spacca i partiti

L’instabilità del M5s andrà avanti dunque ancora per mesi. Tenendo a bagnomaria, almeno in linea teorica, anche le alleanze nelle tre corse regionali, quelle su cui punta Elly Schlein per azzoppare il governo di Giorgia Meloni. Poi ci saranno i postumi dell’inevitabile rottura. E comunque nel frattempo Conte dovrà presidiare il lato sinistro della coalizione. Dove le sfide di Renzi hanno mandato in fibrillazione in realtà tutti, non solo M5s.

È solo di ieri il sì definitivo di Azione alla corsa di Andrea Orlando in Liguria. Con un comunicato atteso da giorni, il vertice nazionale si è schierato con i dirigenti locali, che avevano dato l’ok all’ex ministro già da tempo. Calenda sostiene di aver ricevuto segnali rassicuranti sulle tre condizioni poste per aderire al centrosinistra regionale: «Una campagna che metta in sicurezza le grandi opere (quelle già avviate e quelle che dovranno partire), rifiuti il giustizialismo e preveda una leale collaborazione con l’amministrazione Bucci», il sindaco di Genova, di destra.

Ma il vero segnale, per Azione, sono la debolezza del M5s e i passi indietro sostanziali di Renzi. Al puzzle ligure manca però qualche tassello: l’ufficializzazione dell’uscita di Iv dalla giunta di Genova e la certificazione che i renziani non si presenteranno con le loro insegne, condizione messa da M5s.

Partita la campagna elettorale ligure, come quella emiliano-romagnola e umbra, resteranno comunque aperte a livello nazionale tutte le crepe provocate dal ruolo di Renzi nello schieramento. Un altro fattore di fibrillazione per il Movimento: Conte deve smentire quella parte che lo accusa di essere troppo cedevole verso la guida di Elly Schlein. «Renzi è un problema del Pd. Per noi è questione insormontabile», è l’avviso della senatrice Alessandra Maiorino, vicinissima al presidente: «Mi sembra il minimo che Schlein ci garantisca che Renzi in ogni sua forma è fuori da qualunque tipo di discorso».

© Riproduzione riservata