L’election day non ci sarà, le forze del centrosinistra avrebbero preferito allineare in un’unica forza d’urto Liguria, Emilia-Romagna e Umbria, le tre regioni che andranno al voto da qui a fine anno. Ma per la coalizione l’obiettivo non cambia: a Elly Schlein e compagni un tre a zero sarebbe fondamentale per provare a dare uno strattone al governo. Un altro, forse quello definitivo, dopo il buon risultato del Pd alle europee che ha riacceso le speranze progressiste.

Naturalmente vietato parlare di «spallata», anzi dall’entourage della segretaria vengono negate fantasie di triplete: «Siamo concentrati sui temi», viene assicurato, e questo tanto nelle campagne elettorali regionali quanto contro il governo Meloni. E non si tratta solo di scaramanzia. Il risultato, spiega un importante dirigente emiliano, «è alla nostra portata, ma sarebbe un errore darlo per scontato».

Niente election day

L’election day, del resto, desiderato a sinistra e temuto a destra, non si poteva fare se non con un accordo fra le regioni al voto. Accordo che non è arrivato. Per la Liguria, la scelta della data deriva dall’art. 5 della legge costituzionale 22 novembre 1999 in base alla quale, in caso di interruzione del mandato del presidente, il termine per l’indizione delle nuove elezioni è fissato entro tre mesi.

Si vota dunque il 27 e il 28 ottobre. Il ministero degli Interni, spesso tirato in ballo, in realtà non poteva procedere con un decreto su una legge costituzionale per unificare le date. Ma fine ottobre era troppo presto per l’Emilia-Romagna, che ha scelto invece il week end del 17 e 18 novembre. Una consultazione informale con la presidenza dell’Umbria, per tentare un parziale accorpamento, non ha avuto successo. La presidente Donatella Tesei ha declinato.

Terremoto M5s

Ma per la sinistra il risultato pieno, il tre a zero appunto, non è affatto scontato. Anche perché l’unica marcia effettivamente ingranata fin qui è quella di Michele De Pascale, il sindaco di Ravenna che corre per il post Bonaccini in Emilia-Romagna. Entro il 10 ottobre saranno chiuse le liste: manca un mese, ma la coalizione si sta organizzando. Resta un’incertezza sulla formazione in cui si presenterà il “centro”: Azione tratta per una lista comune con Più Europa, Italia viva potrebbe schierare i suoi nomi nella lista del presidente. Nel frattempo ben settanta liste civiche, impegnate nelle città, hanno assicurato il loro appoggio a De Pascale. L’avversaria Elena Ugolini, ex sottosegretaria del governo Monti, non va presa sottogamba, ma è più un nome che mette d’accordo la coalizione che la donna dell’ambizione del «regime change».

In Liguria invece la corsa del centrosinistra non è neanche cominciata, al netto del generoso attivismo del candidato Andrea Orlando. La coalizione non quaglia. Al lato sinistro, i Cinque stelle, che appoggiano Orlando ma rischiano di essere terremotati dalle offerte di collaborazione di Matteo Renzi. Ma da ieri il problema interno si è rovinosamente allargato: si è aperta la rottura fra l’ala vicina a Beppe Grillo e quella che sta con Conte. Il garante mena come un fabbro sul presidente: «Ad oggi non mi sembra si stia compiendo un’opera di rinnovamento, ma un’opera di abbattimento, per costruire qualcosa di totalmente nuovo, che nulla ha a che spartire con il Movimento 5 Stelle». I contiani rispondono colpo su colpo. E la faglia passa per la Liguria. L’ex ministro Toninelli, ultrà del comico, ieri ha parlato di «un partito della democrazia diretta e un partito del posizionamento, quello che entra in Liguria ad appoggiare Orlando e poi si accorge, senza fare un contratto di governo, che Calenda vuole la gronda».

La sfida di Renzi

Calenda vuole la gronda, e a sua volta maldigerisce Renzi. Che ieri, da Roma, ha sfidato i futuri alleati: «Quando alle regionali hanno messo un veto su di noi, andando di là abbiamo fatto vincere il centrodestra e ora dicono non dovete stare con il centrodestra. Delle due l’una, se non vuoi che sto con il centrodestra tu non mettere veti». Azione ligure ha già detto sì a Orlando da giorni. Ma Calenda, da Secolo XIX, detta le sue tre condizioni «fondamentali» per sostenerlo: «Prima: le opere infrastrutturali si devono fare. Seconda: niente campagna elettorale basata sul giustizialismo forcaiolo. Terza: una volta vinte le elezioni, serve cultura di governo, il che significa anche avere una leale collaborazione istituzionale con il sindaco Bucci».

Infine l’Umbria. La candidata presidente è la sindaca di Assisi Stefania Proietti. Ma la governatrice della regione, la leghista Donatella Tesei, non ha ancora stabilito la data del voto. Fin qui del resto la sua conferma ballava: la certezza è arrivata solo mercoledì sera dall’esecutivo Fdi, dalle parole della stessa premier: «In Umbria puntiamo a confermare il governo di Donatella Tesei e del centrodestra, ma dobbiamo tenere in conto i risultati alle ultime amministrative di Perugia e Terni». Una reinvestitura, ma senza entusiasmo. Data più probabile, i primi di dicembre.

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