Il 10 ottobre scorso al protocollo del comune di Matera è giunta la richiesta di autorizzazione del referendum per il passaggio della cittadina nella regione limitrofa. Nel frattempo da Calabria, Campania e Puglia altri comuni chiedono di cambiare
All’indomani delle elezioni regionali in Basilicata, quando il riconfermato presidente di centrodestra, Vito Bardi, ha reso pubblica la nuova giunta senza neppure un assessore della città di Matera, non ha fatto troppo rumore una dichiarazione di Giovanni Angelino, presidente dell’associazione Matera nel cuore: «A questo punto meglio che ognuno vada per la sua strada naturale: Potenza con la Campania e Matera con la Puglia. La Città dei Sassi avrebbe tutto da guadagnare».
Il rumore si è sentito eccome il 10 ottobre scorso, quando si è passati dalle parole ai fatti e al protocollo del comune è giunta la richiesta di autorizzazione del referendum per il passaggio di Matera in Puglia. All’origine dell’iniziativa, con 64 sottoscrittori, ci sono Tito Di Maggio e Corrado Danzi, due ex parlamentari, peraltro politicamente più vicini al centrodestra che oggi governa in regione.
La «spoliazione»
Al di là della motivazione storica (un riferimento all’antica appartenenza di Matera alla Terra d’Otranto, ma è una vicenda conclusa nel 1663) e di una evidente contiguità geomorfologica (Matera è parte della Murgia pugliese), al centro di tutto c’è la politica, in particolare quel fenomeno che i promotori chiamano «spoliazione» di Matera da parte del capoluogo potentino.
Il quaderno delle doglianze è pieno. Tito Di Maggio, già parlamentare nelle file di Scelta civica, esordisce con una raffica di domande: «Sa quanti presidenti di regione ha avuto la città di Matera dal 1970, anno delle prime elezioni regionali? Neanche uno. Il mondo conosce Matera come location dei film di Pasolini, Gibson e 007? Sa dove hanno portato la Film commission? A Potenza.
E l’Azienda di promozione turistica, con tutto quello che Matera rappresenta per il turismo? Sempre a Potenza». Corrado Danzi, due volte parlamentare nei primi anni Duemila con il vecchio Cdu Biancofiore e poi con l’Udc, è medico specialista. «A Potenza ci sono sedici oncologi, a Matera solo uno; a 40 chilometri da Potenza c’è l’Ircss Crob di Rionero, centro di riferimento oncologico della Basilicata, e dove fanno la radioterapia? A Potenza».
Sognando Basilicata
La vicenda, peraltro, porta con sé un paradosso: se c’è chi dalla Basilicata vuole uscire, c’è anche chi, già da tempo, vuole entrare. Se qualcuno a Matera aspira alla Puglia, a Taranto c’è chi sogna l’esatto contrario.
Anche qui c’è il richiamo storico-culturale (l’unità delle antiche città magnogreche di Taranto, Metaponto ed Eraclea) ma pesa di più la questione politica. «Se Taranto fosse in Basilicata – è il cuore del ragionamento di Nicola Russo, presidente del comitato Referendum Taranto in Basilicata, già 18mila firme ottenute – avrebbe avuto l’unico porto e l’aeroporto internazionale di Grottaglie pienamente funzionanti». Realtà che oggi sarebbero soffocate, nel loro potenziale di sviluppo, dal peso infrastrutturale di Brindisi e Bari.
Un vento secessionista verso la Basilicata arriva anche dal versante calabrese, il cosiddetto Alto Jonio calabro. Qualche anno fa i sindaci di ben sedici comuni e il comitato Passaggio in Lucania hanno incontrato minacciosi l’allora presidente della provincia di Matera, Franco Stella, che li ha accolti con un promettente «benvenuti nella vostra provincia».
Non se ne è fatto poi nulla, ma gli spiriti non sono del tutto sopiti. C’è poi il versante campano, dove da anni, a coltivare il sogno della “Grande Lucania”, c’è Gaetano Fierro, tre volte sindaco di Potenza e storico promotore di un movimento di idee che spinge per l’ingresso in Basilicata di alcuni comuni del Cilento e del Vallo di Diano, tra cui Vallo di Lucania, Agropoli, Contursi, Padula, Eboli.
Anche qui, oltre alle più romantiche ragioni storiche, la spinta è politica e si riconduce a quello che lui chiama “napolicentrismo” infrastrutturale della provincia di Salerno. Sentito, da quelle parti, è anche il tema della costiera cilentana, che pensa di essere non meno bella, ma meno considerata, di quella amalfitana.
Il movimento è vivo e vegeto. Il 25 ottobre alcuni di questi temi sono emersi, tra gli altri, a Eboli, dove si è costituita la Federazione civica delle associazioni per il Meridione d’Italia (più di cinquanta associazioni tra cui, non a caso, anche quelle di Fierro e Russo). Anche qui un referendum? «No – spiega Fierro – bisogna prima creare una coscienza popolare. I referendum prematuri fanno fallire i progetti».
Il referendum
A Matera, invece, i promotori assicurano di voler andare fino in fondo. «Ora c’è l’iter autorizzativo per la raccolta firme, poi servirà convincere il 50 per cento+1 degli elettori della città» spiega Di Maggio. L’iniziativa arriva in un momento politico caldo. A Matera si torna presto al voto dopo la caduta dell’ex sindaco del M5s, Domenico Bennardi.
E se il referendum non dovesse andare a buon fine? «Avremmo comunque la coscienza di aver sollevato con forza un tema politico fondamentale». «Del resto – spiega Danzi – non stiamo inventando nulla, semplicemente andiamo verso il vecchio progetto delle macroregioni della Fondazione Agnelli, ripreso nel 2016 dal deputato Pd Roberto Morassut con lo scopo di limitare quei grandi moltiplicatori di spesa inutile che sono le regioni: Potenza in Campania, Matera in Puglia, chiusura della Basilicata».
Se le macroregioni sono un progetto che appare lontano, c’è però una domanda che aleggia in modo più concreto e attuale, e non riguarda solo la Basilicata: queste pulsioni, più o meno legittime, quanto saranno destinate a crescere se il governo, dopo la bocciatura della Consulta, deciderà di insistere con lo spauracchio dell’autonomia differenziata?
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