Nel 2024 Giorgia Meloni ha risposto a 350 domande, secondo i calcoli del suo ufficio stampa. Meno di una al giorno. Tante o poche? Come se questo si possa considerare un parametro. Eppure il numero, secondo la premier, sarebbe più che congruo e addirittura bastevole da solo a smentire l’accusa di non amare i confronti con la stampa.

Eppure Meloni sa – visto che anche lei è stata pur per breve tempo giornalista – che non è il numero delle domande ad essere la variabile, ma le risposte che vengono ottenute o meno. Una domanda che cade nel vuoto o senza una risposta esaustiva è certamente stata formulata – e ci mancherebbe - ma non è di per sé indice di nulla.

Un peso ha anche il contesto in cui le domande vengono formulate: una conferenza stampa di tre ore come quella di ieri, che da appuntamento di fine anno è stata ormai trasformata in un incontro dei primi di gennaio, o un rapido punto stampa a margine degli impegni ufficiali.

Se i numeri piacciono, Pagella politica ne ha elaborati di interessanti: da quando è presidente del Consiglio, Meloni ha partecipato in media a una conferenza stampa al mese, per un totale di 26 conferenze stampa.

Queste si sono fatte sempre più rare nel tempo: nel 2023 Meloni ha partecipato a 16 conferenze stampa, mentre nel 2024 a quattro. Come quattro sono state le sue interviste a Porta a porta da Bruno Vespa. Preferisce invece i punti stampa con domande contingentate: finora 44.

La libertà di stampa

Tuttavia la premier è stata abile a dribblare le contestazioni: ha detto di aver deciso di non partecipare alle conferenze stampa post consiglio dei ministri perché la si «accusa di eccessivo leaderismo, quindi trovo giusto che i ministri che hanno lavorato poi parlino dei decreti approvati». Ma anche questa precauzione dimostra un suo rapporto piuttosto tormentato con la stampa.

Certamente il suo governo e la maggioranza parlamentare guidata dal suo partito si stanno dimostrando molto interventisti in materia di informazione, oltre che solerti nel presentare querele contro i giornalisti e i quotidiani.

È proprio a firma Fratelli d’Italia il disegno di legge di riforma della diffamazione, con il nobile proposito di eliminare il carcere come pena in caso di diffamazione ma che contemporaneamente inasprisce le multe, che arrivano fino a 50mila euro, e prevede rettifiche da pubblicare rigorosamente senza commenti.

In nessuna proposta, invece, ha trovato spazio un presidio contro le cosiddette querele temerarie: quelle infondate ma presentate con lo scopo preciso di intimidire la stampa e di limitarne la libertà. Perché presentare querele è gratuito, difendersi invece è costoso e in un mondo giornalistico sempre più precario i giornalisti si trovano spesso soli ad affrontare questo tipo di attacchi.

Sul tema è stata approvata una direttiva europea – proprio come sulla presunzione di innocenza, che al governo è servita per prevedere la stretta nella pubblicazione degli atti giudiziari – che attenderà altrettanta solerte attuazione nel nostro ordinamento.

Meloni ha anche ricordato il motto di Spiderman (chissà se ricordando che il suo alter ego Peter Parker era un fotografo freelance): «Da grandi poteri derivano grandi responsabilità». Come proposito per il nuovo anno, sarebbe una bella notizia se lo seguisse – chiedendo la stessa cosa anche ai suoi ministri e sottosegretari – anche nei confronti della stampa, riconoscendo i diversi rapporti di forza.

Scegliendo la strada del rispondere magari anche a più di 350 domande, invece che quella delle querele e degli attacchi.

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