La parola antifascismo resta un tabù, innominabile. Non viene usata per allontanare l’ombra degli ultimi scandali di giovani militanti che riesumano slogan hitleriani. Nella lettera inviata ieri da Giorgia Meloni ai dirigenti del suo partito c’è la correzione di rotta rispetto alla pesante sgrammaticatura istituzionale verso il Quirinale, tirato in ballo dopo l’inchiesta di Fanpage sui militanti di Gioventù nazionale, responsabili di insulti razzisti e antisemiti.

Con l’ennesimo rilancio contro i nemici immaginari, media e presunti poteri forti: «La storia si ricorderà di noi, che l’Italia si ricorderà di noi, che ogni persona perbene che ha subito la logica degli amici degli amici, dei circoletti che decidono per tutti, dei due pesi e delle due misure».

C’è un cambio di passo – almeno nel lessico – con l’aggiunta di alcuni provvedimenti da assumere velocemente per provare ad archiviare la vicenda. «Chi non è in grado di capirlo, chi non ha compreso questo percorso, chi non è in condizione di tenere il passo, non può far parte di Fratelli d’Italia», ha scritto Meloni.

I casi La Russa

Lo scivolone nei confronti di Sergio Mattarella necessitava per forza di un qualche ravvedimento, che pure è apparso raffazzonato oltre che fuori tempo massimo: «Non ho e non abbiamo tempo da perdere con chi non è in grado di capire cosa sia Fratelli d’Italia e quali siano le grandi sfide storiche della nostra epoca», è principale la tesi esposta. Un intralcio o poco più, dunque.

Non un problema radicato nella cultura del partito di quella «fascisteria» denunciata anche da Alessandro Giuli, giornalista d’area meloniana, che pesa poco dal punto di vista elettorale. Ma ha un valore simbolico per una parte della base, come raccontato dai filmati di Fanpage. Manca l’impegno di un’elaborazione culturale rispetto agli anni del fascismo, considerando già compiuta l’operazione.

Soprattutto, nel tentativo di biasimare quegli episodi, Meloni ha alimentato una narrazione grottesca. Al limite del surreale. «Non c’è spazio, in Fratelli d’Italia, per posizioni razziste o antisemite, come non c’è spazio per i nostalgici dei totalitarismi del ‘900, o per qualsiasi manifestazione di stupido folklore», ha scritto in uno dei punti chiave della missiva inviata ai vertici di FdI.

Chissà se in questa generale condanna rientrano i busti di Mussolini che il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha custodito ed esposto con orgoglio fino a pochi mesi fa. Mettendoli nello scantinato solo dopo le polemiche, non senza incappare in ulteriori scivoloni come sull’attentato di via Rasella durante la Resistenza.

Secondo il suo pensiero, infatti, i partigiani hanno colpito «una banda musicale di pensionati» e non dei militari nazisti. E sempre nella famiglia La Russa, il fratello Romano si è abbandonato in passato nel saluto a braccio teso, quello romano, senza troppa vergogna.

La galleria è insomma vasta e non riguarda esclusivamente la dinastia politica della seconda carica dello Stato, ci mancherebbe. Ogni giorno la cronaca consegna notizie di esponenti di FdI, talvolta locali e poco noti, che con nonchalance ripropongono il saluto romano. Un’abitudine che arriva alle posizioni più alte del partito.

Conti con il ventennio

Tra le tante spicca la neo-eurodeputata, Elena Donazzan, che ha intonato con leggerezza la canzone Faccetta nera in radio tempo fa, tracciando successivamente un paragone con Bella Ciao. È cambiato il clima culturale, come ha annotato la senatrice a vita, Liliana Segre in una recente intervista. Con il governo della destra sovranista ci si sente autorizzati a sdoganare l’iconografia e la sloganistica del fascismo. Tutto inevitabilmente ricondotto alla categoria del folklore da mettere in disparte con un moto di fastidio, come sta tentando di fare la presidente del Consiglio.

Meloni ha pure rivendicato di aver fatto i conti «con il passato e con il ventennio fascista», tenendosi però alla larga della professione di antifascismo, che ha evitato da sempre dall’insediamento a palazzo Chigi. Agli atti resta il comportamento minimale verso le celebrazioni del 25 Aprile.

Con questo stile ha inevitabilmente scelto la linea dell’assoluzione per Gioventù nazionale, un passaggio inevitabile visto anche il ruolo che ha avuto nella recente campagna elettorale per le europee: è stato il motore della comunicazione social.

«Abbiamo un movimento giovanile forte, sano, colorato, curioso e aperto», ha sostenuto la leader di Fratelli d’Italia nella lettera. E ha addirittura rilanciato: «I nostri ragazzi, che a volto scoperto e la faccia pulita, con volantini e iniziative, difendono la Libertà nelle scuole e nelle università dalla violenza e dall’arroganza della sinistra, sono i primi a essere danneggiati da questa brutta storia».

Fiamma ardente

Insomma, ha argomentato di nuovo Meloni, «non c’è alcuno spazio tra le nostre fila per chi recita un copione macchiettistico utile solo al racconto che i nostri avversari vogliono fare di noi». E se a queste parole dovessero seguire i fatti, il partito dovrebbe subire delle espulsioni di massa, non solo limitata agli iscritti di Gioventù nazionale immortalati dai filmati, ma a tutti i responsabili di fatti del genere.

Perché, a conti fatti, la tardiva presa d’atto della gravità di quei fatti viene archiviata con l’individuazione di alcuni capri espiatori. Non una nuova svolta di Fiuggi, come quella di Gianfranco Fini che tentò di archiviare la stagione post fascista.Del resto, non si scorge una reale volontà di voltare effettivamente pagina sotto la guida di Meloni.

La premier ha messo nero su bianco un altro pensiero significativo: «Non siamo un partito che guarda al passato». Un ragionamento che sembrerebbe il preludio alla rottura dei legami con i simboli, anche grafici, del Movimento sociale italiano. Invece la fiamma resta intoccabile e continua a campeggiare nel logo di Fratelli d’Italia.

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