È una coincidenza temporale, solo una coincidenza, ma non per questo è meno significativa. Sul tema della libertà di stampa parlano quasi in contemporanea il presidente della Repubblica e la presidente del Consiglio. Tema sensibilissimo in questi giorni, dall’apertura di un’inchiesta per fuga di notizie da parte della Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone, partita da un esposto del ministro Guido Crosetto dopo che il nostro giornale aveva pubblicato notizie vere (e infatti mai smentite) sui sostanziosi compensi ricevuti da aziende delle armi fino a poco prima di diventare titolare della Difesa.

Dice Sergio Mattarella: «La libertà di stampa è fondamentale per la nostra democrazia, come per qualunque democrazia. Che vede nella nostra Costituzione una tutela netta, chiara, indiscutibile, a fronte della quale vi è una assunzione di responsabilità da parte dei giornalisti: la lealtà, l’indipendenza dell’informazione, la libertà di critica, nel rispetto della personalità altrui, il rispetto dei fatti».

L’occasione è il suo incontro al Quirinale con i vertici della Casagit, la cassa di assistenza dei giornalisti. E continua: «Ma è un elemento indispensabile della nostra democrazia, e questo carattere di indispensabilità, io ho cercato tante volte di richiamarlo e sottolinearlo».

Le parole della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dall’Abruzzo, dov’è andata a sostenere l’amico governatore a caccia di conferma (la regione domenica prossima va al voto) vanno in tutt’altra direzione. La premier cita direttamente i fatti su cui indaga la procura di Perugia.

Ma i princìpi a cui si ispira sono all’opposto di quelli che ispirano il Quirinale. «Penso che sia gravissimo che in Italia ci siano funzionari dello Stato che hanno passato il loro tempo a violare la legge, facendo delle verifiche su cittadini comuni. E non a loro piacimento» ma «per poi passare queste informazioni alla stampa, in particolare ad alcuni esponenti della stampa. Utilizzare così le banche dati pubbliche non c’entra niente con la libertà di stampa».

Più tardi dal palco di Pescara attacca esplicitamente Domani: «Ci sono funzionari dello stato italiano che fanno dossieraggio ad personam per passare le notizie ad alcuni giornali, segnatamente ai giornali di De Benedetti. Vogliamo sapere chi sono i mandanti perché questi sono metodi da regime».

Fin qui la premier aveva lasciato che la sua maggioranza si scatenasse contro la procura Antimafia e contro i giornalisti, segnatamente contro il team delle inchieste di Domani. Stavolta parla lei, e ringrazia il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. Avverte che aspetta le audizioni in commissione antimafia: mercoledì alle 16 e 30 sarà ascoltato Melillo, giovedì alle 10 toccherà al procuratore di Perugia Cantone. «Vedremo cosa ne verrà fuori».

Una differenza oggettiva, certamente non cercata né voluta da parte del Colle, che però misura ancora una volta le distanze fra Quirinale e palazzo Chigi.

Risponde il Pd

A rispondere alla premier è Sandro Ruotolo, del Pd: «La qualità della democrazia dipende da quanto è libera la stampa. Un presidente del consiglio, con il potere di cui gode, non può permettersi di attaccare un giornale, in questo caso Domani. Aveva già attaccato Roberto Saviano e La Repubblica. Ma non deve farlo: la tutela dell’informazione sta nella prima parte della Costituzione. La delegittimazione fa male a tutti. I giornalisti pubblicano le notizie se sono vere, non devono rendere conto alla fonte. Domani ha svelato i conflitti di interesse del ministro Crosetto, notizie vere, che è diritto dei cittadini conoscere. Con questo metodo di compressione della libertà di informare non ci sarebbe stato il Watergate».

Il capo dello Stato fa un’altra riflessione, questa di certo più intenzionale: «Frequentemente il Presidente della Repubblica viene invocato con diverse motivazioni. C’è chi gli si rivolge chiedendo con veemenza: “il Presidente della Repubblica non firmi questa legge perché non può condividerla, perché gravemente sbagliata”, oppure: “il Presidente Repubblica ha firmato quella legge e quindi l’ha condivisa, l’ha approvata, l’ha fatta propria”». Insomma viene tirato per la giacca, dalle opposizioni ma anche dalla maggioranza, che usa la firma del Colle come certificato della bontà delle proprie leggi. Conclusione: quando il presidente promulga una legge «non la fa propria, non la condivide, fa semplicemente il suo dovere».

Quanto a chi tira per la giacca il Colle, il senatore Maurizio Gasparri al Senato è arrivato a invocarlo da presidente del Consiglio superiore della magistratura: ha chiesto che Mattarella «faccia sentire la sua voce su uno scandalo enorme». Richiesta abbastanza incredibile: anche perché difficilmente il presidente della Repubblica interviene su inchieste in corso.

Ma lo scontro ormai è su diversi piani, e ben confusi fra loro. Gasparri segnala l’anomalia dei procuratori antimafia che diventano esponenti politici di partiti non di destra: in particolare stavolta ce l’ha con Cafiero De Raho, oggi senatore M5s, a cui chiede di astenersi dall’audizione in commissione. I Cinque stelle ricordano di essere anche loro nel mirino dei presunti «dossieraggi», visto che anche Giuseppe Conte e la sua compagna sarebbero oggetto di potenziali fughe di notizie.

Ma, attacca Stefano Patuanelli, giù le mani da De Raho: non si deve «pensare a incompatibilità di autorevoli colleghi che invece possono innalzare la competenza di quella commissione». C’è un complotto, non ha dubbio il leghista Massimiliano Romeo. Salvini affila meglio il discorso, anche lui dall’Abruzzo: «Che ci siano dei funzionari infedeli dello Stato che, secondo l’accusa, pagati dagli italiani, spiano giorno e notte migliaia di italiani, anche normalissimi, perfino sui conti correnti è gravissimo.

Vorrei sapere se i vertici della Guardia di finanza ne erano al corrente o meno». Ma questo non dovrebbe avere niente a che vedere con il lavoro dei giornalisti. Alla premier, ma anche a lui, risponde ancora Sandro Ruotolo: «Nel momento in cui la notizia vera, verificata, si pubblica e non può essere dossieraggio. Il dossieraggio è quello che faceva il funzionario del Sismi Pio Pompa».

Il momento di controdenunciare

Anche Giuseppe Giulietti, fondatore di Art. 21 e coordinatore dei presidi per la libertà di stampa, è preoccupato per gli attacchi di Giorgia Meloni a Domani: «Siamo di fronte ad un fattispecie gravissima: il tentativo di mettere in discussione il lavoro di cronisti che hanno solo pubblicato notizie di rilevanza sociale e di interesse pubblico. L’obiettivo è quello di oscurare l’opinione pubblica. Ciò che accade in Italia va contro tutte le pronunce della Corte di Giustizia europea e le più recenti direttive europee, che tutelano il diritto di cronaca e la segretezza delle fonti. Ciò è ancor più grave perché colpisce giornalisti che hanno mostrato grande perizia e che, proprio per questo sono finiti nel mirino anche di associazioni criminali. Forse è arrivato il momento di controdenunciare chi “molesta” il diritto di cronaca». 

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