L’Unione europea stabilisce che entro il 2030 gli stati dovranno garantire l’accesso ai servizi per l’infanzia al 45 per cento dei bambini, ma in Italia alcune regioni superano appena l’11 per cento. Ci sono zone delle aree interne che non hanno nemmeno un asilo, ma anche nelle grandi città la situazione è critica
Il fondo per il bonus asili nido sarà aumentato di oltre 150 milioni di euro. Questo stabilisce la manovra di bilancio approvata ieri in consiglio dei ministri e che verso fine mese arriverà in parlamento per l’approvazione definitiva. Il bonus asili nido è nato con la legge 232/2016 per incentivare la fruizione dei nidi pubblici e privati per i bambini con meno di tre anni. Si tratta di un rimborso che viene stabilito in base all’Isee e che, senza considerare la futura implementazione, parte da un minimo di 136,37 euro mensili e arriva a un massimo di 272,73 euro al mese.
Ma l’Italia ha un grande problema alla base: il numero degli asili nido. Il consiglio europeo riunito a Barcellona nel 2002 ha stabilito che gli stati membri devono garantire servizi per l’infanzia ad almeno il 33 per cento dei bambini al di sotto dei tre anni e ad almeno il 90 per cento dei bambini tra i tre anni e l’inizio della scuola dell’obbligo. Questi obiettivi sono stati aggiornati dopo la pandemia da Covid-19, passando rispettivamente al 45 e al 96 per cento, da raggiungere entro il 2030.
In Italia, secondo i dati Eurostat più recenti riferiti al 2022, ci sono in media 30,9 posti ogni 100 bambini nei servizi di prima infanzia. Un dato al di sotto della media europea e ben lontano dal 74,7 della Danimarca.
Le differenze regionali
La situazione appare più complessa se si guardano le situazioni delle singole regioni italiane, in cui persiste il divario nord-sud, ma anche centri urbani-aree interne. I dati Istat più recenti, pubblicati a fine 2022 e riferiti al 2020, mostrano ampi divari territoriali a sfavore dei comuni più piccoli e del mezzogiorno.
Al nord-est e al centro Italia la percentuale di posti disponibili oscilla tra il 35 e il 36,1 per cento, il nord ovest ottiene il 30,8 per cento mentre il sud e le isole registrano appena il 15,2 e il 15,9 per cento. Secondo questi dati nessuna regione italiana raggiunge l’obiettivo del 45 per cento stabilito dall’Unione europea. Quella che più si avvicina è l’Umbria (44 per cento), seguita dall’Emilia Romagna (40,7 per cento) e dalla Valle d’Aosta (40,6 per cento). In coda si trovano Campania con l’11 per cento, Calabria con l’11,9 per cento e Sicilia con il 12,5 per cento.
I divari all’interno della stessa regione
Non è necessario cambiare regione, la situazione cambia radicalmente anche solo spostandosi da una provincia all’altra.
I bambini che risiedono nei capoluoghi di provincia hanno una maggiore possibilità di accesso ai servizi educativi della prima infanzia, pari al 34,8 per cento rispetto al 19,8 dei comuni periferici e al 14,7 di quelli ultraperiferici. Tante sono le zone in cui gli asili nido proprio non ci sono. Secondo i dati di Openpolis, in Italia il servizio è assente nel 41 per cento dei comuni.
Anche in alcune grandi città, prima tra tutte Milano, gli asili nido non bastano, soprattutto quelli comunali. Nel 2022 il capoluogo lombardo ha chiuso otto asili pubblici a causa della mancanza di personale, dirottando le famiglie verso il privato, che non sempre ha posto e le cui rette mensili si aggirano intorno ai 550 euro al mese. A settembre erano 2.600 le famiglie in lista d’attesa.
A Torino, nonostante ci sia una copertura del 40,7 per cento, pesano le disuguaglianze territoriali nella città metropolitana. Secondo i dati di Openpolis, il 43 per cento dei comuni della cintura torinese è privo di asili nido.
Le conseguenze e le prospettive
Gli investimenti sulla prima infanzia contenuti nel Pnrr possono svolgere un ruolo importante nel colmare i gap educativi e di genere. Gli asili nido sono uno strumento fondamentale per facilitare l’accesso femminile al mondo del lavoro perché è sulle donne che ancora pesa il maggior carico del lavoro di cura. Per far fronte a questa mancanza e per incoraggiare il lavoro femminile sono stati destinati 2,4 miliardi di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza a questa missione, con l’obiettivo di aggiungere 264mila nuovi posti nei nidi e nelle scuole dell’infanzia.
Probabilmente però questi interventi non basteranno. Secondo Bankitalia, infatti, saranno insufficienti a colmare il divario nord-sud, ma aiuteranno alcune regioni a fare qualche passo in avanti, a patto che siano sfruttati nel modo corretto. Il 10 ottobre si è svolta la quinta sessione di lavoro della cabina di regia Pnrr sul piano degli asili nido e delle scuole dell’infanzia ed è emerso che c’è la «necessità di selezionare un nuovo set di interventi da realizzare, entro il 30 giugno 2026, finalizzati a incrementare il numero dei posti disponibili nei servizi della prima infanzia». Per raggiungere l’obiettivo nei prossimi giorni sarà avviato un confronto tra il governo e l’Assemblea nazionale comuni italiani per stilare un piano d’azione.
Le donne rappresentano nella teoria la metà della forza lavoro del paese. Secondo la stima di Banca d’Italia, se il 60 per cento delle donne (pari alla quota di lavoratrici del nord) avesse un impiego ci sarebbe un incremento del Pil del 7 per cento. Avere servizi per l’infanzia insufficienti significa perdere un’importante fetta di forza lavoro, con evidenti ricadute economiche, oltre che sociali.
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