Il governo e il parlamento illuminano le facciate delle loro sedi di luci color arancio per aderire alla campagna mondiale dell’Onu “Orange the World”; così è successo a Montecitorio e alla Farnesina.

Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, anche nei palazzi, oltreché nelle strade delle città dove sono tornate le giovani attiviste, si sono svolte decine di iniziative per rinnovare l’impegno, anche delle istituzioni, contro la violenza di genere.

Lunedì è stato anche il giorno in cui Alessandro Impagnatiello, barista di Senago (Milano) è stato condannato in primo grado all’ergastolo per l’uccisione della compagna Giulia Tramontano. E il giorno in cui per Filippo Turetta, studente del padovano, reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin, è stata chiesta la stessa pena. Due giovani, bianchi, italiani.

Una giornata come questa per la presidente del Consiglio è stata l’occasione giusta per un nuovo affondo contro gli immigrati. «Adesso verrò definita razzista», premette in un’intervista rilasciata al settimanale Donna Moderna, «ma c’è un’incidenza maggiore, purtroppo, nei casi di violenza sessuale da parte di persone immigrate» soprattutto quelle arrivate «illegalmente, perché quando non hai niente si produce una degenerazione che può portare da ogni parte».

Quest’ultimo passaggio potrebbe suggerire qualche ragionamento sulle condizioni di marginalità, di stranieri o nativi: ma in realtà neanche questo avvicinerebbe la tesi sovranista ai dati reali.

Il patriarcato è innocente

Per la premier non c’è un tema culturale, e generale, da affrontare: «C’è un lavoro soprattutto securitario, la dimensione culturale c’entra di meno. Bisogna garantire la presenza delle forze dell’ordine, garantire che ci siano i reati, garantire che quando qualcuno commette un reato paghi per quel reato, che è un altro tema che abbiamo in Italia, e c’è un tema di contrasto all’immigrazione di massa su cui il governo si spende». È la convinzione della destra italiana. Pochi giorni fa l’aveva già espressa il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, scegliendo anche lui un’occasione speciale, cioè specialmente inadatta: alla Camera, il varo della Fondazione dedicata a Giulia Cecchettin. A stretto giro la premier gli aveva dato ragione.

Lunedì Meloni ha scolpito meglio il concetto: la violenza sulle donne è «il tema della sicurezza, soprattutto nelle nostre città», ed è anche «sempre più evidente». Poche ore prima che venisse resa pubblica l’intervista a Donna Moderna, il suo vice Matteo Salvini aveva scritto un lungo post su Facebook: «Difendere le ragazze significa anche riconoscere l’inevitabile e crescente incidenza degli aggressori stranieri, un dato preoccupante che non sminuisce in alcun modo i casi italiani ma evidenzia le pericolose conseguenze di un’immigrazione incontrollata, spesso proveniente da paesi che non condividono i principi e i valori occidentali».

Segue elenco di femminicidi, ma scelti ad hoc per dimostrare la colpevolezza dell’«uomo nero»: i selezionati sono più stranieri che italiani. Gli stranieri sono nominati per la loro provenienza, i «fidanzati» italiani no. A meno che la donna in questione non sia stata uccisa, come Sharon Verzeni, «da un italiano» ma «di origini maliane».

I dati però non confermano le tesi governative. Già dopo le parole di Valditara, a cui erano seguite dolorose dissociazioni dalla famiglia Cecchettin, Pagella politica aveva tentato un fact-checking. Esercizio non semplice. Nel caso dei femminicidi, perché in Italia non esiste un database “ufficiale” che annoti e indicizzi le caratteristiche degli omicidi di donne. E nel caso della violenza ufficiale, perché le denunce non rappresentano l’interezza, presumibile ma sconosciuta, del dato reale.

I conti non tornano

In ogni caso secondo Pagella politica, intanto non c’è un «incremento di fenomeni di violenza sessuale», come affermato dal ministro. Per l’Istat nel 2023 – il dato disponibile più recente – sono state denunciate 6.231 violenze sessuali, l’anno prima 6.293. Sempre secondo lo stesso istituto, nel 2022 gli italiani denunciati per stupro sono mille in più rispetto agli stranieri (3.340 contro 2.435). L’unico numero appena riconducibile alle parole della premier e dei suoi ministri è la percentuale di stranieri denunciati o arrestati: il 42,2 per cento, in aumento nell’ultimo periodo in analisi, ma con andamento altalenante negli anni precedenti. Quasi il 60 per cento dei denunciati o arrestati, dunque, è italiano.

Ma nella narrazione di palazzo Chigi la realtà reale, o quella ricostruibile, non rileva. L’obiettivo è spostare il fuoco dell’attenzione sugli immigrati; rimuovere il fatto che il fenomeno della violenza contro le donne attraversa trasversalmente tutte le classi sociali; e, come corollario, negare la sopravvivenza del «patriarcato», abolito per legge secondo Valditara.

«La violenza di genere nel nostro paese è un fenomeno strutturale, affonda le radici nella cultura patriarcale di cui è ancora imbevuta la nostra società. Il patriarcato lo nega solo chi ha il privilegio di poter fingere di non vederlo», ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein. Ma sono molte le democratiche che accusano Meloni e di andare a caccia di un capro espiatorio per allontanare una realtà che piace poco ai sovranisti: e cioè che, sono ancora numeri, la stragrande maggioranza delle violenze e dei femminicidi si consumano in famiglia e in contesti affettivi, bianchi e nostrani.

Numeri «allarmanti», per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, «è un comportamento che non trova giustificazioni, radicato in disuguaglianze, stereotipi di genere e culture che tollerano o minimizzano gli abusi, che si verificano spesso», appunto, «anche in ambito familiare». Per il presidente non si è fatto abbastanza. La ministra della Famiglia Eugenia Roccella annuncia «un tavolo di lavoro per redigere un testo unico contro la violenza sulle donne», da consegnare l’8 marzo, «un passo molto innovativo». Non ci saranno «innovazioni di tipo legislativo» ma «disposizioni su tutti i fronti in cui si esprime la violenza».

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