La due giorni europea ha al centro la guerra in Israele e la premier ha scelto la linea americana. Sui migranti invece punta a chiamare in causa le mancanze di Bruxelles
La prima uscita pubblica della presidente del Consiglio Giorgia Meloni dopo le polemiche sull’ex compagno Andrea Giambruno e il congelamento dei rapporti con Forza Italia parla a due mondi: Bruxelles ma soprattutto agli alleati di governo in vista dei difficilissimi passaggi dei prossimi mesi, dalla legge di Bilancio al Mes.
L’occasione è stato l’intervento nei due rami del parlamento in vista del Consiglio europeo di oggi e domani. Il tour de force, con spola tra palazzo Madama e Montecitorio per il dibattito d’aula, ha avuto come prima finalità quella di restituire l’immagine della leader forte al comando. «La maggioranza è compatta, fatevene una ragione», è stata la sua chiosa finale, dopo aver elencato le mancanze dell’Ue e gli errori dei governi che la hanno preceduta. A dimostrazione che – dopo la settimana forse più difficile per lei sia sul piano personale che politico – la sua linea comunicativa non cambia.
In quasi un’ora di discorso, infatti, la premier ha chiarito la linea dell’Italia sul conflitto in Israele – che sarà il cuore della due giorni europea – ma ha anche messo in chiaro che il suo governo non ha abbassato l’attenzione sul problema migratorio, accentuato dal rischio terrorismo, e ha confermato che su questo continuerà a chiamare in causa l’Unione europea.
La guerra
Il Consiglio europeo ha al primo punto dell’ordine del giorno la guerra in Israele e Meloni ha ribadito il diritto di Israele a difendersi ma ha anche specificato che «la reazione di uno stato non deve mai essere motivata da sentimenti di vendetta», con la preoccupazione per «le conseguenze che il conflitto scatenato da Hamas sta avendo in particolar modo sulla popolazione palestinese». La linea , come già sull’Ucraina, è assolutamente filoatlantica e l’Italia – come interlocutore con i paesi musulmani moderati – punterà a cercare un equilibrio tra la reazione di Israele e la sua proporzionalità.
Queste posizioni - come anche la preoccupazione per la sorte degli ostaggi e sulla necessità di riaprire il valico di Rafah per proseguire con le evacuazioni – hanno permesso Meloni di accogliere sostegno bipartisan sulle posizioni di fondo: applausi sono arrivati da entrambi i lati dell’emiciclo, segno che non sarà su questo terreno che lo scontro politico si accenderà.
Grane interne
La seconda parte del discorso è stata quella più politica, che ha fatto emergere la vera strategia con cui Meloni si presenta al Consiglio europeo. «Non sarà un Consiglio di routine né semplice», ha detto, sottolineando che avviene «in un contesto internazionale ancora più difficile e drammatico dei precedenti» in cui «l’Ue è chiamata a dare risposte urgenti». Che per Meloni non sono solo sulla guerra, ma anche su questioni migratorie ed economiche, a partire dal patto di stabilità.
In questi campi per la premier l’attacco rimane la miglior difesa: richiamare l’Ue alle sue responsabilità, ribadendo i successi del suo governo alla luce dei tanti dossier aperti come quello dei migranti e nascondendo quelli controversi, come la mancata ratifica italiana del Mes. La questione non è all’ordine del giorno del Consiglio, come ha ribadito seccamente Meloni, ma sarà discusso all’Eurosummit di venerdì e l’aspettativa – ha ribadito il presidente Paschal Donohoe – è che l’Italia lo ratifichi «il più presto possibile».
le debolezze
Per coprire le sue debolezze, infatti, la premier si è rifugiata nelle rivendicazioni storiche senza alcun aggiustamento di fondo.
Per questo Meloni ha puntato sui punti più controversi a livello europeo, sottolineando il fatto che il patto di stabilità deve essere di «crescita e stabilità» e non «di stabilità e crescita» e questo comporta la necessità di «scorporare del tutto o parzialmente» dai parametri deficit-Pil gli investimenti sulla difesa e a sostegno dell’Ucraina chiesti dall’Ue. La messa in discussione delle regole europee, però, è per Meloni di portata anche più ampia, con la richiesta di interrogarsi sul funzionamento dell’Unione, «perchè il problema non si risolve modificando le regole all'unanimità», ha detto spalleggiando Ungheria e Polonia che sono contrarie alla modifica di questo criterio.
«Dobbiamo discutere di quali siano non le regole ma le priorità». Come quella migratoria, per Meloni, che ha ribadito la richiesta di «fermare le partenze illegali» e rivendicato di aver portato su questa posizione anche la presidente Ursula von der Leyen.
Su questo Meloni arriverà con i soliti punti cardine: «la ridistribuzione di chi arriva illegalmente non sarà mai la soluzione del problema migratorio ma è un "pull factor», i rischi di estremismo terroristico nei migranti che sbarcano, il piano Mattei – ancora nebuloso nelle stesse parole della premier – come unica soluzione per bloccare gli sbarchi.
Nessun cenno a politiche di integrazione (e alla mancata integrazione come causa di radicalizzazione) o alla modifica del patto di Dublino: la strategia di Meloni è quella della continuità. Sperando che ciò basti, in questo momento di difficoltà dell’Ue come istituzione, a mascherarne le contraddizioni.
© Riproduzione riservata