Il rischio di uno scontro diretto con il Quirinale è stato sventato per un pelo. Giorgia Meloni ne è ben consapevole e, durante la chiusura della campagna elettorale del centrodestra in Umbria, si tiene ben lontana dall’origine dei suoi guai: Elon Musk. Mercoledì era dovuta intervenire con una chiamata all’imprenditore per abbassare i toni di uno scambio di battute con Sergio Mattarella che stava rischiando l’escalation. Il presidente della Repubblica, davanti agli attacchi del tycoon ai giudici, era stato costretto a spiegare che l’Italia «è in grado di badare a sé stessa». La premier aveva fatto filtrare il suo «rispetto» nei confronti del capo dello stato ma, al netto delle telefonata oltreoceano, non aveva fatto dichiarazioni ufficiali.

Ieri, a Perugia, ha scelto di non tornare sulla vicenda. Forse nella speranza che tra qualche giorno nessuno si ricordi più di cosa è accaduto. Ma è fin troppo chiaro che il “caso Musk” l’ha messa in difficoltà. E nessuno può garantirle che, al di là delle rassicurazioni generiche del patron di Tesla, ciò che è accaduto non si ripeta.

I rapporti in coalizione

Meloni, a questo punto, deve scegliere da che parte stare. È stretta tra due fuochi. Da un lato ci sono gli alleati moderati di governo, che possono serenamente prendere le distanze dai toni del tycoon. «È il linguaggio che non mi piace, non è italiano, non deve deve interferire nelle vicende» italiane, ha detto il segretario di Forza Italia Antonio Tajani. «Ho sempre detto che non parteggiavo e non preferivo nessuno dei due candidati nelle elezioni americane, perché non è compito mio interferire nella vita politica degli Stati Uniti. Così io mi auguro che nessuno interferisca nella vita politica italiana. Condivido assolutamente le parole del presidente Mattarella. Il linguaggio di Musk non mi appartiene», ha aggiunto, spostando il focus sulla magistratura e allontanandolo dal Colle.

Dall’altro lato c’è Matteo Salvini, mai stato troppo diplomatico nei toni. Fedelissimo ormai alla cravatta rossa d’ordinanza trumpiana – «la porterò per i prossimi quattro anni», promette – lui non ha dubbi da che parte stare. Anzi, in vista della decisione del tribunale di Catania, tutto fa brodo. Anche le dichiarazioni del tycoon: «Che ci siano alcuni giudici, pochi per fortuna, che in Italia fanno politica non c’è bisogno di Musk che lo dica. Chiedete a me o a circa 30mila italiani che negli ultimi 30 anni sono stati ingiustamente carcerati per un risarcimento danni di 840 milioni di euro pagati da altri italiani».

Certo, il presidente Mattarella «ha fatto bene» a dire quello che ha detto. «Bisogna imbavagliare Musk o chiunque altro negli Usa o in Norvegia? no. Serve a mio avviso e di tanti altri la separazione delle carriere e la riforma della magistratura? Si ma non perché lo dice Musk, perché lo dico io».

Fronte europeo

La premier deve anche fare i conti con la sua immagine internazionale. Dopo un lungo percorso di normalizzazione e la creazione di un rapporto stabile con l’amministrazione Biden, ora Meloni deve riallinearsi. Ma è un momento delicato, anche a Bruxelles: mettersi nello stesso angolo di Viktor Orbàn, Trump e Musk rischia di ricondurla nella stessa categoria di impresentabili da cui ha lavorato tanto per emanciparsi. Per la premier il ruolo più comodo da vestire ora è quello della pontiera, un incarico che si è già premurata di ricoprire per conto della presidente della Commissione Ursula von der Leyen nelle trattative con Orbàn e gli altri volti dell’ultradestra.

Una scommessa difficile: tenere il piede in due scarpe può rivelarsi perdente sia nei confronti di chi si aspetta che Meloni riscopra l’asse con la destra trumpiana che aveva coltivato per prima invitando l’ideologo Steve Bannon alla festa di Atreju, sia verso chi la vorrebbe vedere novella Angela Merkel alla guida di un’Europa in balia di un vuoto di potere.

Rapporto privilegiato?

Meloni ha comunque confidato ai suoi che le follie del tycoon la preoccupano. La presidente è intervenuta con una chiamata a Musk e ha tentato di salvare la situazione facendo leva sul buon rapporto che si è creato tra di loro. Ma sa che alla lunga le uscite del neoresponsabile dell’efficienza del governo americano non si potranno arginare con un colpo di telefono.

Proprio in virtù del rapporto fiduciario – e dei frequenti scambi su WhatsApp – Meloni spera che il tycoon decida di dare priorità ai suoi interessi economici. Quel progetto da 1,5 miliardi di euro, di durata quinquennale per la fornitura di banda larga attraverso satellite per garantire connessioni sicure alle imprese italiane è la leva su cui punta la premier.

È il più concreto dei piani di Musk per l’Italia, ma c’è in ballo anche una Tesla low cost destinata al mercato italiano. Tutto questo vale un tweet contro il capo dello Stato, pur concepito come un sostegno a Meloni contro i giudici che hanno fatto tornare dall’Albania i migranti spediti nei Cpr costruiti dal governo? La premier spera che l’imprenditore abbia colto l’antifona e che nelle sue future prese di posizione non scavalchi di nuovo la linea rossa del Quirinale. Nel dubbio, intanto, meglio tenere un profilo il più basso possibile.

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