L’esordio tragicomico del centro per immigrati in Albania, con l’andirivieni di sedici poveri cristi-cavia, è coerente con il carattere demenziale della intera operazione. Anche al netto delle mille incongruenze pratiche e giuridiche, non potevano almeno pensarsela meglio? Ha detto bene il direttore di questo giornale: cattivismo associato a incapacità. Perché la pronuncia della magistratura avversa al trattenimento era largamente prevista in quanto giuridicamente ineccepibile. Ma non è di questo che intendo occuparmi.

La politica ridotta a propaganda è un tratto caratteristico del populismo di questo nostro tempo. Difficile non leggere in questa chiave il centro di raccolta allestito in Albania, una gigantesca opera diversiva e propagandistica. Un costosissimo, monumentale spot che ha prodotto l’ultimo scontro aperto tra governo e magistratura. Già ve ne sono stati ed è facile previsione che altri ve ne saranno. È nel dna, nella natura e nella cultura della destra al governo.

La stagione berlusconiana

Come ben sappiamo, non è una novità. Fu una delle costanti della stagione berlusconiana. Merita tuttavia chiedersi se vi siano differenze. Direi di sì. Nel Cavaliere la guerra alla magistratura rispondeva essenzialmente all’esigenza di una personale difesa dai processi e a un istinto padronale.

Come notò qualcuno, Berlusconi era sostanzialmente estraneo più che ostile alla democrazia. Era uomo d’azienda, cui si confà un governo monocratico, refrattario a mediazioni, regole, limiti. È uscita di recente la riedizione di un libro di Dario Rivolta, a lungo stretto collaboratore del Cavaliere in azienda e poi, per tre legislature, deputato di FI, responsabile della politica estera del partito. Un vero, raro liberale. Titolo: A fianco di Berlusconi.

Senza astio e con dovizia di riferimenti, vi si traccia il profilo di un imprenditore geniale e di successo (pur se disinvolto nella moralità dei mezzi) che tuttavia ha fallito alla prova del governo proprio a motivo della sua endemica assenza di senso dello stato e delle istituzioni. Si può sostenere che le medesime qualità che ne fecero un grande imprenditore lo facevano totalmente inadatto come uomo di governo.

Destra illiberale

Cosa un po’ diversa il caso di Meloni, del suo partito, della sua mediocre classe dirigente. Qui affiora una cultura politica: quella di una destra illiberale dai tratti autoritari che ha radici antiche e che mal si concilia con i capisaldi di una democrazia costituzionale. Semmai consentanea alla deriva in atto, non solo in Italia, verso le cosiddette democrature.

Del resto, quella cultura, quella visione dello stato, è scolpita nelle riforme costituzionali messe in cantiere dal governo: premierato e separazione delle carriere tra giudici e pm. Ovvero riforme in contrasto con il principio della separazione dei poteri (semmai volte a una smodata concentrazione di essi) e, segnatamente, tese a una compressione dell’autonomia e della terzietà degli organi di garanzia.

Una visione che, in certo modo, si rinviene anche nella recente tendenza a occupare con uomini di stretta fiducia del governo l’Alta corte, secondo un modulo praticato per la Rai. Un classico uno due delle democrazie illiberali alla Orbán: stretta alla magistratura e all’informazione.

Il decreto Albania

Per porre rimedio al pasticcio albanese, Meloni si propone di aggirare i vincoli posti dalla magistratura desunti dalla normativa europea in tema di sicurezza degli stati d’origine dei migranti facendo ricorso a un decreto legge.

Al netto dei tecnicismi, si vuole affermare una doppia primazia: della politica (del governo) sul diritto e del diritto interno su quello comunitario. Come dimenticare che FdI, quando stava all’opposizione, aveva depositato una proposta di legge in tal senso a prima firma Meloni?

Sovranismo/nazionalismo che mal sopporta l’ordinamento europeo, i diritti e le garanzie che esso assicura. Un limite cui neppure Berlusconi si spinse. Sempre lì siamo, al ripudio dell’idea-forza alla base del costituzionalismo: “porre limiti al potere di chi comanda”.

In questa luce, non è azzardato concludere che, nella guerra alla magistratura, si va oltre Berlusconi: in questo caso, la molla non sono l’autodifesa e l’istinto padronale, ma, di più, una cultura politica estranea se non ostile al costituzionalismo democratico che altresì si sposa con un nazionalismo refrattario allo sviluppo del costituzionalismo europeo. Ripeto: entrambi elementi che si spingono oltre Berlusconi. 

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