Per fortuna che per Giorgia Meloni i dazi «non sono una catastrofe». Nel day after dalla promulgazione, la Borsa di Milano è per il secondo giorno maglia nera d’Europa, dallo sprofondo del -6,5 per cento. Eppure, dopo le rassicurazioni attraverso un’intervista al Tg1, la premier sembra aver esaurito gli argomenti su quella che ha tutti i connotati per essere una guerra commerciale di proporzioni globali, con gli Stati Uniti dalla parte del nemico.

Nella sua giornata, Meloni si è dedicata alle attività istituzionali tipiche di ogni tranquillo venerdì di pace economica, privilegiando platee elettoralmente utili. È intervenuta con un video agli Stati generali della Protezione civile, dove ha detto che «la cultura della prevenzione è sempre un investimento», poi si è fatta vedere in una piazza Duomo gremita a L’Aquila, dove ha assistito al giuramento degli allievi dei Vigili del fuoco. Infine si è spostata a Ortona per visitare la nave scuola Amerigo Vespucci, e lì non ha potuto dribblare la domanda sui pericoli incombenti sull’economia italiana, fatta soprattutto di export. «Sono ovviamente preoccupata, è un problema che va risolto», e addirittura «la catastrofe che se ne fa in questi giorni mi preoccupa paradossalmente più del fatto in sé». Insomma, tutta colpa della stampa che enfatizza troppo. Perché sì, «parliamo di un mercato che vale circa il 10 per cento della nostra esportazione, ma non smetteremo di esportare negli Usa».

Parole identiche a quelle pronunciate al Tg1 ed evidentemente frutto della linea da cui la premier non ha intenzione di sgarrare. L’obiettivo è quello di sedare le paure, ridurre l’enfasi, minimizzare gli effetti anche davanti ai numeri e al crollo della borsa. Nella speranza che nel corso delle prossime settimane il dialogo con gli Stati Uniti si sblocchi e arrivi al finale auspicato dell’«eliminazione dei dazi». Anche per questo la visita in Italia del vicepresidente JD Vance di metà aprile è attesa impazientemente. Nel frattempo, però, l’obiettivo della premier è quello di frenare ogni possibile risposta europea che possa peggiorare l’umore di Donald Trump infilando l’Europa in un vicolo cieco, secondo Fratelli d’Italia.

Per questo, per ora, il governo si è limitato ad annunciare una roadmap di riflessione e contemplazione: prima serve uno studio per valutare il reale impatto economico dei dazi sull’Italia, poi – martedì – il governo incontrerà le categorie per valutare eventuali soluzioni. Nel mentre, qualsiasi dialogo con l’Unione europea andrà nella direzione di scoraggiare iniziative considerate ritorsive, come i controdazi. Anzi, la richiesta sarà quella di concentrarsi sui «dazi che l’Ue si autoimpone», come ha detto la premier, che è tornata a chiedere la sospensione del Green Deal sulle auto e un ripensamento del Patto di stabilità. Un modo per sviare il focus dagli Usa all’Ue, mentre Meloni sembra ancora convinta di essere la «cinghia di congiunzione» tra i due, come da illusione di qualche mese fa. A confermarlo è stato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che a Cinque minuti ha detto che «attraverso un’azione facilitatrice l’Italia può giocare un ruolo positivo per calmare le acque e favorire la crescita economica». Una visione più che rosea che cozza con la realtà dei fatti, dai numeri di Piazza Affari alle preoccupazioni delle categorie produttive.

Il «piano Poste»

Il governo, dunque, si ostina a non riflettere su nessuna misura concreta, a differenza di quanto si stanno attrezzando a fare altri paesi europei come la Spagna di Pedro Sánchez, che ha annunciato un piano da 14 miliardi per sostenere le imprese colpite. Secondo il ministro Tajani, infatti, «se continua un’azione forte sull’aumento dei dazi, dobbiamo assolutamente diminuire i costi di produzione», per aiutare le imprese. Come, però, rimane un mistero. Il vicepremier ha parlato di un «piano di azione» diffuso venti giorni fa che immagina Poste italiane come leva logistica, «da utilizzare per distribuire sui mercati i prodotti anche delle piccole imprese», e un «piano italo-indiano» già siglato in passato per favorire il business tra i due paesi. Poco e niente, ma in linea con la filosofia dello struzzo di scommettere che i dazi vengano cancellati.

Eppure c’è un limite che Forza Italia non è disposta a superare. «Le trattative individuali non si possono fare perché è l’Unione europea che tratta le politiche commerciali». Tradotto: Ursula von der Leyen rimane esponente di punta della famiglia popolare europea, e scavalcarla non è immaginabile. L’unica strada dunque sarà quella della diplomazia europea, nella speranza di poter fare da argine davanti all’attivismo della Francia dell’odiato Emmanuel Macron.

Eppure, anche se l’Italia predica prudenza, lunedì sarà il momento di scoprire le carte. A Bruxelles si terrà il Consiglio dei ministri del Commercio dell’Ue, in cui si discuterà l’ipotesi di imporre dazi sui prodotti americani. L’Italia dirà no, perché il rischio è che «possano provocare una reazione più dannosa per i nostri prodotti», chiedendo invece che l’Ue dia un «segnale politico agli Stati Uniti per dire basta», ha spiegato Tajani. La scommessa è che l’Ue converga sulla mano tesa agli Usa, la realtà è che sul governo rischia di abbattersi la tempesta perfetta della speculazione finanziaria insieme alla contrazione dell’export per svariati miliardi di euro, con effetti su Pil e occupazione.

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