Nicola Zingaretti è stato segretario del Pd, presidente del Lazio per due mandati e ora è capodelegazione del Pd a Bruxelles, nonché presidente della fondazione Demo. Gli chiediamo uno sforzo di sincerità: sembra certo che il ministro Fitto diventerà commissario europeo, e che arrivi per lui una “delega pesante”.

Se arriverà una delega all’altezza di quella del predecessore, l’economia del vostro Gentiloni, smentirà tutte le accuse di irrilevanza che voi, il centrosinistra, fate all’Italia di Meloni?

Vedremo. Ma è scontato che l’Italia debba avere ciò che spetta a un grande paese fondatore. La credibilità e il nostro peso è messo in discussione non da questo ma dall’inesistenza di una linea di politica della maggioranza di destra su temi rilevantissimi. Sull’Europa la presidente del Consiglio dice “nì”, un vicepresidente “sì” e l’altro vicepresidente “no”. Per non parlare delle terze e quarte file. È questo che mina la nostra credibilità. Il loro slogan era «Giorgia cambia l’Europa». In realtà contiamo sempre meno.

Qual è il metro di misura, se non la delega in Commissione?

Non ci invitano neanche agli incontri tra stati fuori dal contesto europeo. Noi, con il centrosinistra al governo, abbiamo vissuto una fase nella quale abbiamo guidato l’Europa. Il governo giallorosso ha conquistato 270 miliardi di euro del Pnrr, che l’Europa all’inizio non voleva darci. Ma è l’autorevolezza italiana, la nostra forza di persuasione, l’idea di Europa umana e vicina alle persone che ha fatto cambiare la storia dell’Unione.

La destra è diventata rissosa come la sinistra. Si romperà sullo Ius scholae, o sull’autonomia differenziata?

Molte dichiarazioni sono lodevoli e segnalano un malessere reale. Ma se rimangono tali diventano ipocrisia pura. La realtà è che nella maggioranza è partita una competizione tra FdI e Lega su chi è più di destra. E questo estremismo di destra detta la linea e i comportamenti. Resta a fare da collante solo la gestione e l’occupazione ossessiva del potere.

La Conferenza episcopale è severa sull’autonomia, e la Lega accusa i vescovi di non aver capito la legge.

Monsignor Savino e tutti i vescovi hanno capito benissimo. Oggi le reazioni della destra alle opinioni della chiesa ricordano un po’ i tempi di Enrico VIII: il desiderio di una chiesa al servizio del potere, e la stizza se non la ottiene. Ma era il 1600 appunto. Le contraddizioni invece sono tutte loro: hanno chiesto voti su Dio, patria e famiglia poi se ne fregano della chiesa, delle disuguaglianze e dei diritti, distruggono la patria con l’autonomia e colpiscono le famiglie con i tagli al sociale.

Siete i veri conservatori, dice Zaia.

Zaia ha ragione su una cosa: lo status quo non va bene. Ma l’Italia va cambiata, non distrutta. Noi non siamo conservatori, vogliamo un’innovazione e un riformismo che per essere tale attuino l’articolo 3 della Costituzione. Di fronte ai problemi di crescita economica e produttiva, e purtroppo di aumento delle disuguaglianze, dobbiamo fare l’opposto che dividere l’Italia: unire, fare investimenti sulla conoscenza, sul capitale umano, sull’innovazione industriale, sulla formazione. Pensare a modelli sociali nuovi che, nel tempo del mondo globale, non lascino sole le persone e facciano arretrare i diritti.

Il calo demografico è una tragedia italiana, e la destra, invece di fare squadra per affrontare temi immensi come questo, dice “sciogliete le righe”. Invece, come ha spiegato Draghi, dobbiamo unirci ancora di più all’Europa per nuove economie di scala. A destra prevale un mix ideologico e demagogico: come quando parlano di famiglie e in un paese dove non si fanno più figli, anzi ora vogliono tagliare alle famiglie anche l’assegno unico per i figli. Geni, ma dell’errore. Con la fondazione Demo stiamo lavorando a un manifesto per «una nuova agenda di politiche per il ceto medio». Di questo abbiamo bisogno.

Intanto il centrosinistra converge da mesi, ma in realtà non fa passi avanti. Perché?

Ma non è vero che non fa passi in avanti. Vanno avanti molte battaglie comuni. Ovviamente è un processo complesso, ma queste battaglie hanno camminato anche ad agosto. E sui referendum, sulla sanità e sul salario minimo vedo un sentire unitario nuovo. Un sentimento popolare basato sui contenuti, e non solo sul no alla destra.

Allora perché non c’è ancora il candidato presidente in Liguria, con un ritardo che rischia di compromettere il risultato finale?

Sulle alleanze sono fiducioso che si chiuderà ovunque, anche in Liguria, e presto. Perché è nel sentire comune la voglia di unità che deve basarsi sul rispetto reciproco e quella di Orlando è davvero una ottima candidatura autorevole sul profilo di governo e per la sua storia chiara e unitaria su quello politico.

Quest’estate ha raccontato nuovi battibecchi fra Iv e M5s. Serve un tavolo nazionale per comporre il conflitto interno, o almeno regolarlo?

Elly Schlein ha fatto benissimo a dire «parliamo di contenuti e non di nomi». E, ripeto, in un processo proiettato verso le persone. Che è l’esatto contrario dei tavoli.

Renzi fa nuove professioni d’amore al Pd, chiede al vostro popolo di non impallinare la nuova segretaria, come è successo, dice, a lui. E a lei, Zingaretti. E prende gli applausi alla festa dell’Unità.

(Ride) Mi fa sinceramente piacere che un leader politico, dopo aver organizzato una scissione e fondato un nuovo partito perché ha perso il congresso, dica questo. Io faccio prevalere il bene comune e dico: andiamo avanti, vediamo contenuti e cultura politica per costruire una proposta di governo e un’alleanza nuova. Ma per essere credibile ci vorrà tanta umiltà e coerenza, altrimenti ritorna la sensazione delle furbizie. Ora tutti sono per alleanze larghe, io le sostengo da sempre e dunque sono sinceramente contento. Ma serve serietà e coerenza.

Renzi puntava a erodere il Pd perché c’erano «le praterie al centro». Non ci sono. Ora dice che «si vince al centro». È così?

Si vince con una proposta di rinascita, in grado di suscitare speranza in chi l’ha persa. Per costruirla abbiamo bisogno di un bagno di popolo e del coinvolgimento pieno delle energie vitali di questo paese che spesso vivono in solitudine la loro condizione, persino la voglia di partecipare.

Il centrosinistra riuscirà a unirsi sulla manovra? A ora non sembra.

Mi auguro e penso di sì. È urgente farlo. La democrazia, quando non include, è debole. E oggi le disuguaglianze crescono. Il populismo affonda le sue radici nella rabbia di chi si sente escluso e vittima di un ingiustizia. Noi dobbiamo indicare un’alternativa al presente e certo non dividerci nelle risposte dell’opposizione. Lo dobbiamo fare in primo luogo per continuare a guardare negli occhi una nuova generazione di ragazze e ragazzi, che con lo scippo di futuro in corso, sono le principali vittime di questa destra.

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