Colloquio con l’ultimo segretario del Pci a margine della visione di La Cosa di Nanni Moretti. «La sinistra va cercata in forme diverse, nella società civile e nella partecipazione attiva. Il campo largo non è il campo delle sigle, prima devi fare l’unità della società e poi vengono le sigle. Serve un progetto che parli all’insieme della società. Non sono iscritto al Pd, mantengo la mia critica, ma sostengo l’azione di Elly Schlein per cambiarlo»
Film, dibattito, cena. La bandiera rossa disegnata sul muro, in prima fila l’ultimo segretario del Partito comunista, sala piena, un cane che abbaia, la pasta e fagioli. Sembra una scena di Goodbye Lenin, invece è un ritorno al futuro, trentacinque anni dopo il crollo del muro di Berlino, la svolta del Pci, l’indimenticabile 1989. «Chiudiamo gli occhi, guardiamo ai partiti e al mondo di allora. Riapriamoli. Oggi non c’è più nulla. La campana del nuovo inizio ha suonato per tutti», invita a fare Achille Occhetto. Benvenuti nel futuro, che è il presente in cui siamo immersi.
Sabato 30 novembre, una fila di macchine si è arrampicata sulla collina di Castel di Decima, alle porte di Roma, tra strade sterrate, dove da più di quarant’anni c’è la cooperativa Agricoltura Nuova. In programma, il documentario di Nanni Moretti La Cosa, che il regista girò in sedici millimetri riprendendo le assemblee nelle sezioni del Pci tra il 22 novembre e il 19 dicembre 1989. Segue dibattito con il segretario della svolta.
Occhetto è accompagnato dalla moglie Aureliana Alberici, spegne la pipa: «Lo vedo per la prima volta». Buio, scorrono le immagini. Il fumo. I giornali. I cappotti. I volti degli iscritti, in gran parte uomini. Le parole al microfono. Moriconi, il compagno di Testaccio: «La bandiera rossa mette i brividi a tutti, compreso er sottoscritto!». L’operaio di Mirafiori Gianni Marchetto: «I comunisti, quando perdono l’idea della rivoluzione, perdono il senso dell’avventura. Diventano gente noiosa, e anche pericolosa». Una giovane, a San Giovanni a Teduccio, scrive una lettera al Pci: «Caro Mister X, ti penso come un grande elefante, dalle orecchie molto lunghe, in un lento cammino. Cosa direste se l’elefante di colpo cominciasse a correre?»
La svolta dei compagni
Quando si riaccendono le luci, Occhetto appare quello di sempre, un ragazzo di quasi 89 anni che non ha perso il senso dell’avventura in politica. Nuovista, svoltista, lo accusarono gli avversari e soprattutto i compagni, forse solo lui però poteva avere il coraggio di voltare pagina. «Ma il film smentisce la leggenda che io abbia agito in solitudine. È stata la più grande e appassionante discussione del secolo. La svolta non fu di Occhetto, ma dei compagni. Il sì vinse tra il popolo, tra gli operai più che tra i chierici».
Servirono quattordici mesi, due congressi. Tormenti, divisioni, lacrime, che il documentario di Moretti fotografa allo stato nascente, pochi giorni dopo il primo annuncio di Occhetto, il 12 novembre, alla sezione della Bolognina nel quartiere Navile, davanti ai partigiani, senza telecamere. Per lui il trauma era arrivato all’hotel Atlantic di Bruxelles, quando in attesa di incontrare il leader laburista inglese Neil Kinnock nella sua camera aveva visto in tv le folle danzare sul muro di Berlino.
«In una notte fu travolto tutto», ricorda Occhetto, mentre il cane abbaia forte. «Una svolta culturalmente debole? Al XVIII congresso del Pci, qualche mese prima, avevamo parlato della questione ecologica, la differenza femminile, i movimenti. Questa era la nostra cultura. All’unanimità votammo per chiamarci “nuovo Pci”, ma non si poteva mettere il vino nuovo nel vecchio involucro. Dopo la Bolognina Craxi si incazzò moltissimo, perché nel Pci c’era chi lavorava per entrare nel Psi e la svolta spezzava l’operazione. Quella tradizione è stata portata nel Pds e perfino nel Pd. In Francia e in Spagna non c’è stata la svolta e si è visto come sono finiti i comunisti. Oggi chiunque, tranne Bertinotti, vede che la questione del nome non c’entra nulla. Se non fai più le stesse lotte non usare la scusa che non hai lo stesso nome, guardati nella coscienza, sei un imbelle, una beghina, non un rivoluzionario! Il nostro obiettivo era invece uscire da sinistra dalle macerie del comunismo internazionale, una sinistra nuova».
La nascita del populismo
Trentacinque anni dopo la stiamo ancora cercando. «Dopo la svolta arriva Mani Pulite. Non è stato un passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, è stato il passaggio dalla Repubblica fondata sui partiti al populismo», risponde Occhetto. «L’Italia ha inventato il fascismo e poi ha inventato il populismo in Europa con Berlusconi. A sinistra c’è stato il tentativo dell’Ulivo, distrutto da Bertinotti, D’Alema, Cossiga. Bertinotti in attesa della rivoluzione faceva cadere i governi, oggi attacca perfino Landini. D’Alema voleva andare a palazzo Chigi. Cossiga preferiva un comunista alla guida del governo in vista della guerra in Kosovo, ebbe ragione, il bombardamento di Belgrado avvenne senza manifestazioni pacifiste. Fecero cadere Prodi, è cambiata la storia dell’Ulivo e la storia della sinistra. Non ho mai capito perché siamo passati dal Pds ai Ds. È servito solo a offuscare la serietà della svolta. Si è passati dalla svolta alle svoltine».
La svolta era legata alla riforma del sistema politico bloccato, «un gioco che si ripete all’infinito senza una autentica speranza di alternativa», sosteneva il segretario del Pci nell’89. Ma poi l’alternativa è arrivata da destra. «È avvenuta una profonda trasformazione della società», dice Occhetto. «Ho visto una fotografia alla bellissima mostra su Berlinguer, c’è lui in cappotto in un cantiere deserto, da solo con due edili, senza altri intorno. Oggi non c’è più Berlinguer, ma non ci sono più nemmeno quegli operai, quella società. Le fabbriche della Fiat della Cosa di Moretti non ci sono più, da tempo. Con il neo-liberismo il mondo del lavoro si è spappolato, si è individualizzato.
In America vince Trump, in Italia ha vinto Berlusconi, e poi Renzi, anche se per altri motivi, va distinto da Berlusconi, e ora Giorgia Meloni. E il Pd è stato fagocitato dall’andazzo delle sinistre europee, che sono state subalterne al neo-liberismo e alla sua visione di globalizzazione. Abbiamo perso contatto con i settori popolari che ci appartenevano, si è creato un vuoto riempito dai populisti, ora dobbiamo rimontare una situazione difficile. Non si può rimproverare a Elly Schlein di non andare in mondi che non ci sono più, lei giustamente va a riprendere il contatto dove è sparito il voto».
Il non voto
All’epoca Occhetto chiedeva di rivolgersi alla «sinistra diffusa, una sinistra sommersa e scoraggiata». Significava uscire dal confine, dal recinto del Pci. Oggi l’Italia sommersa è quella che diserta le urne.
«Nel non voto ci sono gli illusi del populista di turno. I delusi da Grillo, i delusi da Salvini che si sta sbriciolando. La sinistra va cercata in forme diverse, nella società civile e nella partecipazione attiva. Il campo largo non è il campo delle sigle, prima devi fare l’unità della società e poi vengono le sigle. Serve un progetto che parli all’insieme della società. Non sono iscritto al Pd mantengo la mia critica, doveva essere una nuova formazione fondata sulla contaminazione reale tra le culture, invece è stata una sovrapposizione a freddo di apparati. Ma sostengo l’azione di Elly Schlein per cambiarlo, il suo sforzo titanico, coraggioso, le auguro buon lavoro».
L’elefante dalle orecchie lunghe si è rimesso in movimento. E arriva finalmente la pasta e fagioli.
© Riproduzione riservata