I magistrati, che hanno ricevuto le denunce di Cancellato e di Casarini, potrebbero presto fare iscrizioni nel registro degli indagati. I rappresentanti di Aise e Aisi saranno convocati come persone informate sui fatti. Verrà chiamata anche la società israeliana
Prosegue a ritmo serrato il lavoro degli inquirenti sul caso Paragon. Le procure di Napoli e Palermo, dove sono state rispettivamente presentate le denunce del giornalista Francesco Cancellato e dell’attivista Luca Casarini – entrambi spiati col software israeliano Graphite – stanno coordinandosi sul fronte indagini. E presto, in base a quanto apprende Domani, diversi potrebbero essere i risvolti: nel registro degli indagati potrebbero infatti comparire i primi iscritti.
I pubblici ministeri, inoltre, sempre in base a quanto appreso da questo giornale, sentiranno come persone informate sui fatti i vertici di Aisi e Aise che, nei giorni scorsi, hanno ammesso davanti al Copasir, organo parlamentare che si occupa di sicurezza, di aver in uso Graphite, per l’appunto il software della società Paragon, ma di non averlo mai utilizzato per intercettare politici, giornalisti e attivisti.
Come anticipato da Domani verrà pure sentita dai magistrati la società Paragon solutions, azienda israeliana controllata dal fondo di private equity americano AE Industrial Parters. Nessuna pista è di fatto esclusa.
Mistero Paragon
Una storia, quella sullo spyware israeliano, tuttora poco chiara. Chi lo ha usato nei confronti delle cinque persone che finora hanno denunciato pubblicamente la violazione? Chi altro è stato spiato (Meta ha parlato di circa 90 numeri intercettati)? Carabinieri, Guardia di finanza, polizia e penitenziaria hanno negato, una volta interpellate, di aver in uso il software.
Le procure, sempre in base a quanto apprende Domani, non utilizzano trojan a zero click, come Graphite, e le agenzie di intelligence hanno, come detto, negato ogni coinvolgimento durante le audizioni al Copasir. Qualcuno sta mentendo? Oppure Graphite non è stato usato dall'Italia?
Libia connection
Al momento le vittime accertate di Graphite sono cinque, quattro delle quali professionalmente impegnate su questioni che riguardano la Libia. A loro si aggiunge don Mattia Ferrari, cappellano della ong Mediterranea Saving Humans e viceparroco di Nonantola, in contatto con papa Francesco.
La scorsa settimana il sacerdote ha presentato una denuncia alla procura di Bologna dopo essere stato avvisato da Meta di aver ricevuto un «sofisticato attacco sostenuto da entità governative non meglio identificate» l'8 febbraio 2024, proprio come avvenuto a Casarini.
Non è chiaro se l'attacco sia andato a buon fine, l'obiettivo della denuncia è proprio quello di fare chiarezza su quanto successo, ma l'episodio fa comunque aumentare il peso del collegamento tra Graphite e la Libia.
Dello stesso paese si occupa, da tempo, Nello Scavo, inviato di Avvenire. Anche lui potrebbe aver subito un attacco informatico. Scavo spiega a Domani: «Il 4 gennaio scorso ho notato che la telecamera del telefono si accendeva e si spegneva da sola. Non avevo pensato a uno spyware. L'ho formattato e non è più successo. Quando si è saputo di Graphite, Citizen Lab ha controllato il mio telefono e pare che qualcosa di strano in quei giorni sia successo, anche se è difficile capire esattamente cosa visto che l'ho formattato».
I timori della Cei
Mentre gli interrogativi si moltiplicano, la Conferenza episcopale italiana ha preso una netta e chiara posizione. Monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Cei, si è appellato al governo italiano, chiedendo verità e giustizia e ha affidato a Domani le sue preoccupazioni. «Chi ha parlato con don Mattia è stato, di conseguenza, spiato?».
Anche monsignor Savino, per esempio, interloquiva col cappellano: «Parlavamo soprattutto di migranti. E parlavamo anche del sostegno da dare a papa Francesco su questo tema, considerato che il pontefice, nel contesto che stiamo vivendo, ha parlato con coraggio di accoglienza e inclusione». Perché, quindi, “spiare” o tentare di spiare anche don Mattia?
Tutti al Copasir
In parallelo alle indagini delle procure, continua anche il lavoro del Comitato parlamentare per la sicurezza. Martedì 4 e mercoledì 5 marzo sono previste le audizioni di Bruno Frattasi, capo dell’Agenzia nazionale per la cybersicurezza, e del generale Salvatore Luogo, comandante dell’arma dei Carabinieri da novembre 2024.
Sempre martedì 4 è pure in programma a palazzo Dante a Roma la relazione annuale dell’intelligence. Alla presentazione interverranno il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri, autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano, il presidente del Copasir, Lorenzo Guerini, il direttore generale del Dis, Vittorio Rizzi, il direttore di Aise, Giovanni Caravelli, e il direttore di Aisi, Bruno Valensise.
Si farà chiarezza su tutte le ombre che al momento sembrano agitare il governo? Probabilmente l’intelligence dovrà farlo. Non solo a seguito del caso Paragon, ma anche dell’ormai noto affaire che ha coinvolto il capo di gabinetto di Meloni, Gaetano Caputi: per questo e altro l’agenzia potrebbe voler chiarire molti aspetti della sua attività rimasti al momento oscuri.
Infine, a essere chiamata a chiarire – lo hanno fatto con insistenza le opposizioni – è la stessa presidente del Consiglio. «Chi ha delle responsabilità deve chiarire – ha detto Enrico Borghi di Italia viva, nonché componente del Copasir – vale per Paragon come per Almasri, due vicende che hanno un singolare parallelismo a partire dal fatto che chi ha trafficato in esseri umani va a casa con tutti gli onori e chi salva vite umane viene spiato. Non si può più tergiversare: la premier deve riferire in parlamento o al Copasir».
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