- Candidature comuni, accordi fra sinistra e Base riformista. Entro dicembre mezzo partito rinnova i dirigenti e viene “derenzizzato”, parola però diffidata e vietata al Nazareno.
- Il ministro Guerini, leader della minoranza: «Tutte sciocchezze, sono stato il vice di Renzi ed ho sempre avuto piena agibilità politica».
- Tutti credono di aver vinto. Provenzano: «Sta emergendo una volontà condivisa di ricostruire il nostro insediamento sociale e territoriale. E una nuova generazione si assume l’onere di guidare il partito, con poche risorse e grande generosità».
Entro il 19 dicembre in dieci regioni si vota per eleggere i segretari regionali del Pd, solo in due con le primarie, tutte le altre sono tornate ai vecchi e sani riti della democrazia interna. Si votano i segretari anche in 66 province e in molte città. Si chiude a febbraio.
Nel Pd il congresso invocato dalle minoranze dopo l’addio di Nicola Zingaretti non c’è stato. Adesso però c’è quello di “midterm”. Stefano Vaccari, capo dell’organizzazione, parla di «una stagione vasta, e importante, che riguarda nei fatti la metà del partito.
E se escludiamo qualche eccezione, sarà una stagione unitaria». Il tema non “buca” le cronache nazionali perché stavolta non si consumano conflitti sanguinosi: ma è già una notizia. Anzi è la notizia.
La derenzizzazione gentile
Il processo di “derenzizzazione” – parola diffidata e vietata dai vertici del partito – è in corso, in maniera assai più incisiva che ai tempi di Nicola Zingaretti, ma paradossalmente neanche troppo, vista la cautissima gestione dell’ex segretario.
La sinistra interna chiama «il congresso sprecato» quello della sua vittoria nel marzo del 2019. Ma il ricambio oggi avviene ovunque in maniera «unitaria». Cifra che Letta ha imposto per compattare il partito in vista delle manovre ostili sul voto per il Colle. Ma anche in vista del non impossibile voto anticipato. I Segnali del resto ci sono: gli avvisi di Matteo Renzi, il governo che va sotto, sono un rosario quotidiano che al Nazareno viene chiamato «lo spappolamento».
Ieri l’ultimo grano, anzi l’ultima grana: i Cinque stelle del Senato si sono rivoltati contro Vasco Errani, il collega di Leu indicato come relatore della manovra. Brutto segno. Letta quindi cerca di compattare i suoi. «Siamo tornati un partito unito», ripete.
Dove la parola «tornati» è una concessione all’esistenza di un’età dell’oro che sfugge alla memoria dei cronisti. Segno della nuova èra, oggi a Roma ha scelto un palco centralissimo per presentare Il paese che vogliamo, il libro di Stefano Bonaccini. Il presidente dell’Emilia-Romagna prima era considerato uno sfidante alla segreteria, ora invece è un solido alleato del segretario. «Sono stato tra quelli che lo hanno chiamato per convincerlo a tornare alla guida del Pd», assicura, «e gli ho detto: scrivono di me che voglio fare un congresso. Tutte fesserie. Torna e sarò al tuo fianco».
La prova, secondo Bonaccini, è il clima unitario, a iniziare dalla sua regione: «In quasi tutte le federazioni i segretari sono scelti unitariamente. Abbiamo una tradizione, ma anche io ci ho messo del mio: non ho mai fatto parte di una corrente. Abbiamo ridotto il tasso di litigiosità, si è visto dai risultati delle amministrative. Non dico che ci sia l’unanimismo, ma il fatto che il segretario regionale venga scelto tutti insieme è un bel segnale».
Parla di Luigi Tosiani, ex area riformista poi vicino a Zingaretti ora fedelissimo del sindaco Matteo Lepore. Quello di Tosiani non è un caso unico. In giro per le federazioni si balla un inedito valzer delle buone maniere. In Liguria c’è un candidato unico con un vice della minoranza Base riformista. In Veneto il ticket Andrea Martella (area Orlando-Provenzano) con Monica Lotto (Br) sfida l’ex civatiana Laura Puppato.
Nelle Marche e in Sardegna i congressi sono posticipati in attesa di trovare un nome comune. In Puglia si va verso la conferma di Marco Lacarra, vicino a Debora Serracchiani, che avrà un vice di Br. In Calabria la candidatura molto a sinistra di Sebastiano Romeo sta per cedere il passo alla convergenza unitaria su Nicola Irto (Base riformista).
Solo in Basilicata c’è maretta: da una parte il candidato Raffaele La Regina, vicino a Provenzano, sostenuto da zingarettiani, orlandiani e franceschiniani di Areadem (che avevano messo il veto su Maura Locantore); dall’altra Viviana Cervellino, sostenuta solo da Br.
Nelle città c’è la carica dei giovani segretari: a Taranto è in pole Luciano Santoro, dei Giovani democratici, già vicino a Zingaretti e a Nicola Oddati. A Prato il trentenne Marco Biagioni, anche lui ex Gd, il più votato alle ultime elezioni. A Bologna Federica Mazzoni, «nata il 25 aprile», coordinatrice delle donne Pd.
Per la segreteria provinciale di Modena c’è Roberto Solomita, sindaco di Soliera poco più che quarantenne, anche lui candidatura unitaria; come quella cittadina di Federica Venturelli, 27 anni, altra campionessa di preferenze. Solo a Siena, la città dove è stato eletto deputato il segretario, per ora i candidati sono quattro.
La fase nuova
Però è un’altra eccezione. «Lo spirito è unitario, con candidature non per forza contrapposte», spiega Marco Meloni, coordinatore della segreteria e uomo chiave dell’èra lettiana, «Ma l’unità è soprattutto la comune intenzione di scegliere una classe dirigente locale di qualità, che fa la differenza nel lavoro dei territori».
Spirito unitario vuol dire anche che tutti sono convinti di aver vinto. Come Lorenzo Guerini, ministro della Difesa e leader di Base riformista: «Questa storia della derenzizzazione è una sciocchezza, alimentata da chi vuole inutili polemiche o aspira a qualche candidatura nel 2023. Io, ad esempio, pur essendo stato il vicesegretario di Renzi, ho sempre avuto piena agibilità politica sia a livello nazionale che, con l’area a cui appartengo, a ogni livello. Sui territori la situazione è molto dinamica.
È chiaro che c’è un quadro diverso rispetto ai congressi di cinque anni fa, ma anche rispetto al congresso in cui è stato eletto Zingaretti. Siamo in una fase nuova, anche sui territori, gli schemi si stanno ridefinendo».
Persino il vicesegretario Peppe Provenzano, noto per polemiche ruvide contro Renzi e gli ex renziani, è contento: «La nostra comunità di iscritti e militanti è un patrimonio della democrazia italiana di cui prendersi cura. Siamo l’unico grande partito che ce l’ha. Sta emergendo una volontà condivisa di ricostruire il nostro insediamento sociale e territoriale.
Da Bologna a Firenze, fino alla Basilicata, una nuova generazione si assume l’onere di guidare il partito, con poche risorse e grande generosità. Sono giovani, spesso donne, con una rinnovata sensibilità sociale, sempre più diffusa nel Pd dopo la pandemia. Ricostruzione e rinnovamento del partito sono anche le due premesse necessarie per il successo dell’operazione di apertura messa in campo con le Agorà».
Se vuoi la pace prepara la guerra, dicevano i latini. Nel Pd oggi vale forse il viceversa: se vuoi la guerra, prepara la pace.
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