- In questo periodo di incertezza, l’analisi territoriale si rivela indispensabile, per comprendere le dinamiche di contesti concreti, collocati nello spazio e nel tempo.
- Nello studio della politica italiana l’analisi territoriale riveste una rilevanza cruciale, sia per le profonde differenze che intercorrono fra i diversi contesti locali del nostro Paese, sia perché è all’interno di questi contesti che abbiamo visto i primi segnali di una crisi che si è poi tradotta in un cambiamento che ha modificato in profondità il sistema politico italiano.
- La grande crisi che ci ha investito negli anni Novanta – e dalla quale non siamo mai davvero usciti – ha visto nel Nordest i suoi primi segnali.
Pandemia e guerra si riaffacciano anche nel cuore dell’Europa e siamo meno sicuri di vivere nel “secolo della democrazia”. Il “malessere democratico” avvertito già negli anni Novanta nelle principali democrazie consolidate si aggrava e richiede un supplemento di pensiero e di azione.
La scienza politica si chiede sempre cosa determini lo stato di salute della democrazia. Sappiamo che oltre a una buona Costituzione e istituzioni efficaci risulta importante che i valori della democrazia siano radicati nella cultura politica dei cittadini, facciano parte della nostra vita quotidiana, delle nostre prassi consuete.
Negli ultimi decenni molte analisi dedicate alla cultura politica si concentrano su contesti territoriali specifici, ai livelli sub-nazionali, alla loro storia ed evoluzione.
In Italia questi studi hanno trovato un ambiente nel quale svilupparsi nell’Università di Padova, grazie ad una tradizione di ricerca che ha avuto in Gianni Riccamboni, Percy Allum e Ilvo Diamanti gli iniziatori.
Nasce a Padova nel 1979 la “Liga Veneta”, ribattezzata “la madre di tutte le leghe” da Franco Rocchetta, uno dei suoi fondatori.
Alle elezioni politiche del 1983 la Democrazia Cristiana, il partito dominante, subisce una prima significativa flessione proprio nelle sue precedenti zone di forza nel Veneto più “bianco”. A beneficio della neo-formazione “lighista”. Sono le prime avvisaglie di uno smottamento elettorale che, quasi un decennio dopo, aprirà una “lunga transizione politica”, di fatto, mai davvero conclusa.
Per comprendere le ragioni dello stallo in cui versa da tempo il nostro sistema politico è necessario ripensare e analizzare quanto accaduto negli anni Novanta, quando il nostro paese ha vissuto una crisi drammatica del sistema partitico.
Le prime avvisaglie di questa crisi sono comparse nell’Italia nordorientale e il “Nordest” (termine che incomincia a politicizzarsi proprio negli anni Ottanta, grazie soprattutto a Giorgio Lago, direttore del Gazzettino) risulta uno degli scenari decisivi del cambiamento.
Un cambiamento per il paese
Si guarda al Veneto per comprendere alcuni processi che hanno contribuito a cambiare il volto dell’intero Paese. Si guarda al Veneto sapendo che è parte di un territorio più ampio, in cui si sono sedimentati nel corso del tempo dei tratti culturali specifici (quanto veniva definito subcultura politica territoriale “bianca”).
Ebbene, qui, fra anni Settanta e Ottanta emergono nuovi ceti produttivi, legati alla crescita delle piccole e medie imprese, in cerca di rappresentanza e di efficienza; sono portatori di nuove domande che le famiglie partitiche tradizionali faticano a interpretare e soddisfare.
Nella nuova stagione inaugurata simbolicamente dalla caduta del “Muro di Berlino” tempo per adeguarsi ai mutamenti della società ce ne sarà molto poco e nuovi protagonisti popoleranno la ribalta politica, dal Nordest allo scenario nazionale. Dal Nordest, spesso, contro la politica nazionale.
Cos’è il Nordest
Nordest, oggi, vuol dire soprattutto Veneto. Il Veneto come epicentro di una lunga transizione che ha riguardato molti altri territori – inclusa la "cementificazione selvaggia” – il Veneto che non si sente periferia.
Cosa resta oggi, dopo il fermento di quei decenni? Rimangono alcune specificità politiche. La prima: il Veneto come culla del leghismo della prima ora e come laboratorio per comprendere il successo di un leghismo ancora localista che fa da contraltare al tentativo del segretario Matteo Salvini di creare una Lega nazionale di successo.
Il tema della richiesta dell’autonomia (che distingue il Veneto, dal Friuli-Venezia Giulia e dal Trentino-Alto Adige) è ancora in grado di caratterizzare buona parte del dibattito politico locale e garantisce a chi riesce a intestarselo un vantaggio competitivo notevole.
Questo è un tratto di lungo periodo della cultura politica locale che dovrà essere tenuto presente anche negli studi successivi, per comprendere le dinamiche degli attori sociali e politici e l’emersione di nuove leadership.
La seconda specificità riguarda proprio l’importanza della leadership politica, particolarmente evidente nel successo del presidente della Regione Luca Zaia e della sua lista (che in occasione delle ultime elezioni regionali ha ottenuto quasi il triplo dei voti della lista Lega Salvini). Cosa resterà di questa leadership una volta terminati i mandati di Zaia? Quali spazi si potranno schiudere per nuove leadership, magari portatrici di visioni differenti?
Infine, la terza specificità riguarda il modo di regolazione che non è stato caratterizzato da un’azione politica di regolazione in senso strategico, lasciando molto spazio al mercato e all’autoregolazione.
Problema più evidente in un contesto in cui le trasformazioni delle “piattaforme territoriali" richiedono maggiori capacità strategiche di promozione di uno sviluppo economico che guardi al futuro e non ad un passato irriproducibile.
Lungo questo percorso emerge una direttrice chiara: liberare il “modo” dal “modello”, per utilizzare i termini scelti da Patrizia Messina.
Affiora la necessità di studiare il “modo di regolazione e di sviluppo”, ossia la peculiare relazione tra istituzioni politiche, mercato e comunità che ha contraddistinto il Veneto nella storia.
Concentrarsi sul “modo” e non su un “modello” significa analizzare una realtà non generalizzabile, perché tipica di un contesto e della sua evoluzione storica.
Qui vanno trovate le soluzioni per ridurre gli svantaggi competitivi con altre aree europee e affrontare la sfida della transizione ecologica.
Ricostruendo i fattori di successo di quest’area in un’epoca in cui saranno decisive la connettività, la sostenibilità sociale e ambientale e la capacità di attrazione e valorizzazione dei giovani (mentre oggi il Nordest vede partire studenti universitari e giovani lavoratori, attratti dai servizi offerti da Regioni vicine, quali Emilia-Romagna e Lombardia).
Ma il Nordest non è mai separabile dalle narrazioni che del Nordest vengono svolte: dal mito della civiltà contadina alla frantumazione delle traiettorie di vita, in un contesto paesaggistico (e umano) molto provato.
Aspetto, quest’ultimo, che chiama direttamente in causa la necessità di urgenti interventi pubblici di contrasto al cambiamento climatico e di sostegno ad una prosperità inclusiva.
Marco Almagisti e Paolo Graziano hanno curato il volume Il Nordest: i fatti e le interpretazioni – La lunga transizione italiana vista dal suo epicentro pubblicato da Padova University Press
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