Alle europee del 2019 Matteo Salvini aveva costruito il suo successo sull’”invasione”. Oggi che la destra è al governo la strategia è attaccare la transizione ecologica
Cinque anni fa, la campagna elettorale di Matteo Salvini per le europee si poteva riassumere in due parole: «Porti chiusi». L’allora ministro dell’Interno del governo gialloverde puntò le sue carte sul presunto pericolo dell’immigrazione incontrollata per capitalizzare consenso. E ottenne un risultato storico per il suo partito.
Giorgia Meloni, da parte sua, ancora lontana nel 2019 dalle percentuali delle ultime politiche, si poneva – se possibile – ancora più a destra del leader della Lega, arrivando a proporre i blocchi navali alle frontiere.
In questa campagna 2024, vuota di idee, in cui a stento dietro agli slogan si riconoscono dei programmi, colpisce però la messa in sordina del tema migratorio, largamente scalzato dalla discussione sulle alleanze, ma anche dal nuovo spauracchio della destra: il Green Deal, il piano europeo per la transizione ecologica.
Contro il Green Deal
Salvini promette di proteggere le case e le auto degli italiani dagli effetti delle normative per la riduzione per le emissioni inquinanti, di combattere la carne «sintetica», in breve di dire «basta» alle «eco-follie green». Meloni, tornata a indossare i panni della leader anti establishment, nel suo ultimo comizio al meeting di Vox ha definito a sua volta il piano europeo per il clima una «follia», pari solo, quanto a pericolosità, alla «teoria gender» nelle scuole. Nel repertorio dei temi identitari della destra italiana “Dio, patria e famiglia”, quello della difesa dei confini sembra insomma, se non sparito, almeno silenziato. Ed è possibile immaginarne le ragioni.
Nel 2019 la Lega aveva alle spalle una lunga campagna combattuta dai banchi dell’opposizione sulla «bomba immigrazione», dovuta a suo dire – e in accordo con Meloni – al «buonismo» delle sinistre (tanto “buone” da trattare, col decreto Minniti-Orlando, la materia come una questione di mera sicurezza e da fare accordi con i responsabili di violazioni dei diritti umani in Libia).
Una volta al governo, due pacchetti sicurezza e vari bracci di ferro contro ong e Unione europea servivano a mostrare lo zelo di chi affronta finalmente con determinazione un problema che tanto angoscia gli italiani.
In anni più recenti, però, un governo non esplicitamente politico come quello presieduto da Mario Draghi, sostenuto dalla stessa Lega, non ha consentito di mettere in scena la solita rappresentazione basata sul binomio paura-rassicurazione. Non c’era più un centrosinistra alla guida del governo da biasimare e nemmeno politiche ferocemente anti immigrati da sbandierare. L’asse dello spettacolo del conflitto si è così fatalmente spostato sui temi economici e sul difficile rapporto con l’Europa in merito alla questione del debito. A trarne beneficio è stato Fratelli d’Italia, rimasto l’unico partito all’opposizione, che poteva intitolarsi l’esclusiva di «difendere gli italiani» da minacce esterne reali o immaginate.
Mantenere le promesse
Ora però le due destre sono al governo. Non possono accusare qualcun altro di un’immigrazione che, stando ai loro parametri, rimane “incontrollata”, e nemmeno hanno intenzione di parlarne. Non è il momento di giocare la carta della paura, il problema non deve più esistere. Il palcoscenico è semmai dedicato alle soluzioni “innovative”, anche se queste si limitano a spot privi di contenuti, come il cosiddetto Piano Mattei, o non in grado di produrre risultati di qualche rilievo, come il centro di detenzione in costruzione in Albania. Mantenere le promesse, si sa, è più difficile che enunciarle, quindi tanto vale, forse, passare ad altro, anche perché non sono all’orizzonte nemici sui quali scaricare le responsabilità.
L’Europa non è più la complice delle ong, come veniva presentata all’epoca del confronto tra Salvini e le navi che avevano l’ardire di portare nei porti siciliani i migranti in pericolo di vita. È anzi sempre più in sintonia con la destra sovranista, e lo ha mostrato in modo chiaro con il Patto su migrazione e asilo. In breve, sull’immigrazione non serve «più Italia, meno Europa» come recita lo slogan di Salvini, e d’altra parte, ora che l’invasione non viene più messa in scena, silenziata com’è dai telegiornali, il suo contrasto non porterebbe vantaggi elettorali.
Cambio di strategia
Se questo insieme di circostanze permette di spiegare il cambio di strategia comunicativa sui migranti, non è difficile comprendere cosa spinge – di contro – a investire sull’avversione al Green Deal.
Il dibattito attuale intorno alla transizione ecologica mostra una crescente polarizzazione tra chi, dal fronte progressista, difende misure urgenti per la riduzione delle emissioni e chi, sul versante conservatore, denuncia i pericoli di un «ambientalismo ideologico» a rischio di stravolgere stili di vita e di consumo.
Se la prima posizione è motivata dai timori connessi agli effetti del cambiamento climatico, la seconda tende invece a ridimensionarne la portata, amplificando la minaccia rappresentata dalla transizione stessa.
Presentando le politiche di riduzione delle emissioni come attacchi ai modelli di produzione e di esistenza “tradizionali”, la destra sfrutta la diffidenza delle classi meno abbienti, a rischio di vedersi addebitare costi che non sono in grado di sostenere, come quelli per l’efficientamento energetico delle abitazioni o il passaggio all’auto elettrica.
Ma, anziché promettere di avanzare verso una transizione “giusta”, alimenta la paura davanti al cambiamento e la nostalgia verso un passato di consumo spensierato di energia fossile. Che può combinarsi facilmente, del resto, con visioni nativiste della società e valori familiari antimoderni, nonché con l’antieuropeismo latente nel suo elettorato.
Il meccanismo ciclico di paura e rassicurazione, già sperimentato con successo sul fronte delle migrazioni, avanza dunque sul terreno della sfida “green”. Dove minaccia di provocare un analogo spostamento degli orientamenti politici dell’Ue, e della stessa opinione pubblica, in direzione ostile al cambiamento. Se i primi effetti della strategia si vedono già ora, con i passi indietro sul Green Deal, questa campagna ci promette che siamo solo all’inizio.
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