Mentre seconda e terza rete segnano rispettivamente -10 e -12 per cento di telespettatori, nella prima bozza di manovra non c’è il rifinanziamento del taglio del canone che era stato voluto dalla Lega nel 2023. C’è invece una dura raccomandazione per la nuova governance a tirare la cinghia
Nella prima bozza di manovra filtrata dal governo manca la conferma dello stanziamento che l’anno scorso aveva permesso di tagliare il canone Rai di venti euro, riducendo il contributo dei cittadini da 90 a 70 euro. Il resto era stato finanziato attraverso la fiscalità generale e in conferenza stampa il ministro Giancarlo Giorgetti aveva confermato che sarebbe rimasto «quello dell'anno scorso, è confermata la cosa che abbiamo fatto l'anno scorso», ma tra la fine della scorsa settimana e il momento in cui il primo testo è approdato in parlamento, nessuno ha aggiunto l’articolo che stanziava le diverse centinaia di milioni di euro necessari.
Nel testo provvisorio c’è invece la raccomandazione di risparmiare il più possibile. Il governo intima ai nuovi vertici di viale Mazzini di «assicurare che nell’anno 2025 non abbia luogo un incremento delle voci di spesa relative al costo del personale all’affidamento di incarichi di consulenza rispetto al livello di spesa conseguito nell’anno 2023».
Insomma, no a nuove spese, anzi meglio tagliare dove si può: per il 2026 «la Rai è tenuta a realizzare una riduzione del volume della spesa pari almeno al 2 per cento rispetto al corrispondente ammontare sostenuto nella media del triennio 2021, 2022 e 2023». Peggio ancora per il 2027, quando a viale Mazzini bisognerà tagliare il 4 per cento.
L’amministratore delegato Giampaolo Rossi, appena insediato, dovrà dunque stringere la cinghia. In realtà non si tratta di raccomandazioni nuove, considerati i conti disastrati dell’azienda: già l’anno scorso la Corte dei conti nelle conclusioni della relazione sulla Rai per il 2022 raccomandava di realizzare «ogni misura organizzativa di processo e gestionale idonea ad eliminare inefficienze e diseconomie, onde assicurare un maggior contenimento dei costi».
Il consigliere d’amministrazione eletto dai dipendenti Davide Di Pietro, Usigrai, Fnsi e Unirai si sono subito scagliati contro la possibilità che si potesse andare a risparmiare sulle spese del personale. I costi da ridurre, suggerisce qualcuno, sono altri: nella stessa relazione della Corte dei conti, infatti, vengono registrati quasi 300 milioni di euro di spesa alla voce “risorse tv”, cioè i soldi spesi per contratti “artistici” (ma che riguardano anche alcuni giornalisti e conduttori che hanno contratti integrativi) e produzioni in appalto esterno. Ma i soldi spesi, almeno al momento, non danno i risultati sperati.
I dati preoccupanti sugli ascolti
Infatti, i dati rivelano che la domanda d’informazione in Italia c’è, è l’offerta che manca. Soprattutto in Rai, sia nei notiziari delle prime due reti che in generale nelle reti. È quanto emerge dal nuovo report dello Studio Frasi, che oltre al pubblico dei telegiornali ha analizzato anche l’andamento delle reti nell’ultimo mese.
Il canale più visto resta Rai1, che vince in maniera stabile in prime time contro Canale 5. La situazione cambia radicalmente per quanto riguarda il dato dell’intera giornata: primo e quinto canale sono distanti appena un decimo di punto percentuale di share. Con l’eccezione di La7, che guadagna il 10,5 per cento in prima serata, è la rete ammiraglia della Rai a crescere di più tra le generaliste (escluse Nove e Real Time, che però in numeri assoluti possono concorrere con la rete di Cairo, ma non certo con Rai1). Il primo canale in prime time guadagna il 7,4 per cento.
Il grosso dramma per viale Mazzini si consuma su Rai2 e Rai3, che in prima serata sprofondano: l’ex Telekabul scivola dietro La7 – l’anno scorso era sopra – ed è soltanto la quinta rete più vista, perdendo il 12 per cento di share medio. «La ragione è la progressiva destrutturazione di una rete che aveva un’identità chiara. Nei nuovi programmi il pubblico storico di Rai3 non si riconosce» dice Francesco Siliato, direttore dello Studio Frasi.
Un po’ meno peggio va a Rai2, che rispetto al 2023 perde il 10 per cento di audience media, ma finisce addirittura dietro Rete4, che l’aveva superata già l’anno scorso. Al canale la “cura Pier Silvio” iniziata nel 2023 ha fatto più che bene: l’ad di Mfe aveva fin da subito spinto per trasformare la rete nell’hub dell’informazione targata Mediaset. Ora, la prima serata, quasi sempre dedicata ai talk show, resta stabile rispetto all’anno scorso, mentre sull’intero palinsesto giornaliero Rete4 segna addirittura un +10,5 per cento di share.
Insomma, il pubblico di centrosinistra che sceglie altri prodotti rispetto alle reti del servizio pubblico resta con una voglia d’informazione insoddisfatta dai programmi e i notiziari che propone la Rai, eccezion fatta per il Tg3. Ma all’azienda non sembrano interessare i bisogni di quella fetta di telespettatori.
«Alla fine la governance conta solo su Rai1, che ha il pubblico più anziano, nonostante le promesse di innovazione e di media company dei vertici», dice ancora Siliato. Effettivamente, l’età media dello spettatore di Rai1 è di 64-66 anni, quella di chi preferisce Rai2 60-65 anni, mentre le persone che guardano Rai3 hanno tra in media tra i 62 e i 66 anni.
Ma investire tutto su Rai1 lasciando a sé stessi gli altri due canali è un calcolo che non paga: complessivamente, infatti, sia per quanto riguarda il prime time che sull'intero palinsesto giornaliero il totale di share di Mediaset è superiore a quello della Rai (36,7 per cento contro 35,4 per cento in prima serata, 38,3 per cento contro 34,3 per cento sull’intera giornata). Solo nel confronto sulle tre reti generaliste la Rai resta sopra il Biscione e comunque sull’intera programmazione il vantaggio è di appena 1,4 punti percentuali di audience. La zavorra di viale Mazzini sono infatti i canali digitali come Raiscuola, Raistoria e così via: rispetto al 2023 perdono il 16,7 per cento in prima serata e l’8,2 per cento sull’intera giornata. Una débâcle.
I tg
Il dato che riguarda i notiziari è la prova del nove. Il report dimostra infatti come il bacino di fruizione dei telegiornali nell’ultimo mese sia aumentato rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, ma che i nuovi telespettatori si sono ripartiti tra tutti i tg a parte il Tg1 e il Tg2.
Sono infatti gli unici due notiziari a perdere audience: il giornale diretto da Gian Marco Chiocci perde quasi il 5 per cento di share medio, quello di Antonio Preziosi addirittura il 9,2 per cento. Niente a che vedere con gli incrementi fuori dal comune del TgLa7 (+14,9 per cento) e del Tg4 (+17,8 per cento). In positivo anche Tgr e Tg3, che portano a casa rispettivamente un incremento dell’11,3 e del 7,8 per cento.
Fuori classifica Rainews24. In un generale calo delle all news – perdono terreno anche Tgcom24 e SkyTg24 – il canale diretto da Paolo Petrecca perde addirittura il 24 per cento di share rispetto al 2023. Un dato accolto con sarcasmo desolato dal comitato di redazione: «Siamo passati da Rainews24 a Rainews meno 24. A che punto si arriverà con questa gestione fallimentare, con una carenza evidente di capacità editoriali che si riflettono in un'offerta informativa piegata più alla politica che alla qualità dell'informazione?»
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