Buttare la palla in tribuna, ma in maniera definitiva. La suggestione che rimbalza dai cellulari dei dirigenti Rai a quelli dei collaboratori più stretti dei leader di maggioranza, soprattutto quelli di Matteo Salvini, è degna dei migliori colpi di scena del cinema.

Indice di tutto è quanto si ripete ossessivamente in zona Lega, dove il ritornello è lo stesso da giorni: «Non è uno dei nostri, ma il migliore servizio a Salvini ora come ora lo sta facendo Roberto Sergio». E come? Tenendo lontano Giampaolo Rossi dalla poltrona di amministratore delegato, è il sottinteso.

Così non è detto che l’ad uscente non possa rivelarsi qualcosa di più di un ottimo alleato. In queste ore, infatti, il ragionamento che si sta facendo, in particolare tra i leghisti, è quello di concordare una proroga di un anno dell’attuale cda Rai, limitandosi a reintegrare il presidente. Il tempo servirebbe per scrivere una nuova legge per definire la governance del servizio pubblico.

Una soluzione che lascerebbe tutto congelato fino alla prossima estate, eviterebbe alla maggioranza di dover affrontare sanguinose trattative a settembre e, soprattutto, aggirerebbe il pronunciamento di fine ottobre del Tar, che deve ancora esprimersi sul ricorso dei candidati al cda che va avanti dalla scorsa primavera. Inoltre eviterebbe anche che il nuova cda possa essere giudicato non conforme alle linee guida dell’Emfa, che andrebbero assorbite nella legislazione italiana entro l’estate del 2025.

L’apertura

Una soluzione con pochissime controindicazioni per maggioranza e opposizioni. La destra manterrebbe il saldo controllo della televisione pubblica, il centrosinistra otterrebbe un grande successo portando a casa la disponibilità di palazzo Chigi a riscrivere la legge. L’appello congiunto delle opposizioni, firmato la settimana scorsa, potrebbe dare sostanza all’idea partorita a via Bellerio, rendendo interessante anche per Fratelli d’Italia quello che prima era soltanto uno spunto. Poco importa che con questi numeri il parlamento difficilmente approverà un testo che soddisfi il centrosinistra.

Ovviamente si tratta di una possibilità che piace moltissimo all’ad uscente Sergio, che durante l’ultimo anno ha sondato interlocutori diversi per restare in partita nella trattativa per il rinnovo dei vertici di viale Mazzini.

Che gli altri nomi nella rosa della Lega per l’incarico di direttore generale siano manager molto tecnici e poco politici, mentre lui ha passato un anno a coltivare rapporto (e contrapposizione) con Rossi, è un fatto che gioca a suo favore. E potrebbe fargli guadagnare punti agli occhi dei dirigenti salviniani.

Intanto l’ad uscente da figura neutrale che avrebbe dovuto soltanto tenere in caldo la poltrona di Giampaolo Rossi è diventato un unicorno Rai cumulando in una combinazione mai vista il suo incarico con quello di presidente dopo l’uscita di scena di Marinella Soldi.

Da consigliere anziano, da sabato 10 agosto detiene entrambi gli incarichi. E giusto dal giorno prima, per «opportunità» come dice qualcuno, ha ceduto la direzione della radiofonia ad interim a Flavio Mucciante. Una combinazione esplosiva di incarichi che andrebbe disinnescata con un passaggio in commissione Vigilanza a valle di un accordo con le opposizioni per reintegrare il cda con il presidente che è venuto a mancare.

Uno scenario che implica, necessariamente, l’intesa su un nome di garanzia (ipotesi al momento remota) e un impegno formale ad aprire la discussione la nuova legge.

I nodi

Certo, di questioni da sistemare ce ne sarebbero. A partire dal voto, già calendarizzato per il 12 settembre, per l’elezione dei consiglieri che vengono scelti dai due rami del parlamento.

Anche Rossi avrebbe bisogno di nuove garanzie sul suo futuro. Senza dimenticare la prospettiva di portare avanti una convivenza che si è già mostrata complicata. I rapporti tra Rossi e Sergio attualmente sono civili, ma ridotti ai minimi termini: la stesura dei palinsesti invernali si è trasformata in una fatica di Sisifo per i direttori di genere, costretti a fare i conti con una situazione in cui quando uno dei due dava il via libera, l’altro disfaceva e viceversa.

Oltre al fatto che anche a livello politico da qui a un anno tutto può succedere. Di mezzo ci sono una manovra da mettere in piedi quasi senza risorse e diversi passaggi elettorali in regioni che rischiano di non dare buoni risultati nemmeno a Fratelli d’Italia.

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