Bortone, elezioni francesi e Ghali. L’amministratore delegato della Rai Roberto Sergio, a Napoli per la presentazione dei nuovi palinsesti Rai, ripercorre le polemiche degli ultimi mesi piovute sul servizio pubblico in era meloniana. «In azienda non è cambiato il clima, è cambiato il racconto»
Appena finita la presentazione dei palinsesti per la prossima stagione, Roberto Sergio si avvia verso la porta dell’auditorium Scarlatti di Napoli. Che la sua sia un’uscita di scena definitiva è improbabile. Che si limiti a riprendersi il suo, cioè la direzione della radiofonia, è pressoché impossibile.
Siete stati ampiamente criticati per la gestione di informazione e approfondimento.
Abbiamo già risposto.
E le legislative francesi? Erano in calendario da tempo e si poteva fare uno sforzo maggiore per coprirle. Invece, mentre le reti generaliste se ne sono occupate soltanto in seconda serata, Rainews ha fatto uno speciale e poi ha dedicato i notiziario delle 22 al festival delle Città identitarie.
Quello che si doveva fare per le legislative francesi si è fatto, non c’era bisogno di fare più di quanto poi è stato fatto.
Ma la settimana successiva, con l’attentato a Trump, il Tg1 ha dimostrato che qualcosa in più si poteva fare. Anche all’ultimo minuto. Ritiene veramente che la copertura della Francia fosse sufficiente?
Abbiamo trattato in maniera importante ciò che in genere non trattiamo. E che altre televisioni pubbliche non trattano.
In realtà se ne sono occupate perfino le tv commerciali. Sulle reti private erano in onda due speciali: Nicola Porro su Rete4 ed Enrico Mentana con una maratona su La7.
Noi abbiamo avuto un minutaggio nettamente superiore sia in termini numerici che qualitativi.
Come si misura la qualità?
Lo decidono gli scontri di audience, oltre che di qualitel.
Perché tanti volti noti della Rai, nel corso di quest’anno, non si sono più sentiti “a casa”?
Dovremmo chiederlo a loro. Io sono tranquillo in questa casa, mi ci sento talmente bene.
Quindi, a differenza di quello che denunciano in tanti, il clima in azienda non è cambiato?
No, non è cambiato il clima, è cambiato il racconto.
In che senso?
È come lo raccontate.
I passi falsi della Rai sono colpa dei giornalisti che la raccontano?
Noooo, non è colpa di nessuno. Ognuno ha la sua sensibilità.
Lei ha una storia politica alle spalle diversa dalle persone con cui ha lavorato in questi quattordici mesi. Come si è trovato?
È stata una collaborazione rispettosa. Nel senso che nessuno mi ha chiesto o imposto nulla, quindi mi sono sentito assolutamente libero di fare quello che ritenevo giusto fare, anche facendo magari degli errori.
In conferenza stampa ha spiegato che tornando indietro gestirebbe diversamente l’episodio di Ghali a Sanremo, quando Mara Venier ha letto in diretta un comunicato che ha provocato forti polemiche. Cosa intende?
La comunicazione non sarebbe dovuta essere affidata a Mara Venier, ma doveva essere gestita dalle strutture in maniera più completa. Ma comunque Ghali non è stato censurato: ha potuto parlare sia la sera di Sanremo sia il giorno dopo da Venier.
Ci sono state altre polemiche sui migranti il giorno successivo, quando Dargen D’Amico ha provato a parlarne.
Ma ne hanno parlato. Tutti possono parlare in Rai.
Tutti possono parlare in Rai, ma Serena Bortone dopo il caso Scurati è finita in radio.
Ha scelto lei di fare radio. Noi le avevamo proposto due programmi televisivi, farà radio, lo farà con soddisfazione ed è una risorsa per l’azienda.
Parlerà di politica?
Può parlare di quello che vuole.
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