Les jeux sont faits. La tornata di nomine della Rai dalla governance meloniana è stata approvata in Consiglio d’amministrazione e Giampaolo Rossi porta a casa un’infornata di nuovi direttori che lo affiancherà per il prossimo triennio. È il primo gruppo di nomine “piene” che decide un cda non ancora validato dall’elezione di un presidente confermato dalla commissione Vigilanza, ancora congelata dalla mancanza del numero legale, ma Rossi aveva necessità di chiudere la partita e anche a livello politico, dopo tanti temporeggiamenti, c’è stata una presa di consapevolezza: la vicenda del servizio pubblico andava chiusa. Colpo di scena, i voti dei consiglieri di opposizione, che hanno scelto di votare anche contro i nomi più vicini al centrosinistra. 

Il caso Benigni

Ma nel centrodestra guardano con soddisfazione all’accelerata che ha portato a dama la trattativa negli ultimi giorni. «Tutto è bene quel che finisce bene», è la sintesi che circola a viale Mazzini, dove si incontrano volti decisamente più sereni di quanto lo fossero nelle prime settimane dell’anno o a Sanremo. E pazienza se Roberto Benigni sporca un po’ – almeno dal punto di vista della maggioranza – la chiusura dell’operazione con un monologo tutto sul sogno europeo e sul valore del manifesto di Ventotene, pubblicamente dileggiato dalla presidente del Consiglio in aula. A riportarlo sul servizio pubblico – per altro presentandolo in grande stile a Sanremo e portando a casa l’ottimo risultato del 28 per cento di share – è stato proprio Rossi con una trattativa avviata quando era ancora dg. Una prova di pluralismo semiinvolontario (rivendicata perfino dai giovani meloniani di Atreju) che però ha scatenato tutte le ironie del caso, e forse qualcosa di più, su un ad che si assicura un talento non allineato e poi finisce per trovarsi di fronte a un prodotto non allineato e “aggiustato” per cogliere l’assist non pianificato della premier.

Ma quel che conta, l’approvazione delle nomine, è in cassaforte. Tutti confermati i nomi diffusi alla vigilia, con un seconda tranche di nomine in programma tra qualche mese: Al Tg3 resta Pierluca Terzulli (dopo l’interim) così come alla Tgr Roberto Pacchetti. A RaiSport viene nominato Paolo Petrecca che lascia la guida di RaiNews al neonominato Federico Zurzolo. Al coordinamento dei generi Stefano Coletta, sostituito in quella Distribuzione da Maurizio Imbriale già direttore di Contenuti Digitali, dove a propria volta viene trasferito Marcello Ciannamea – attaccato dalla Lega per aver avallato il rientro di Benigni e difeso, ironia della sorte, dal consigliere vicino ad Avs Roberto Natale dopo «l’indubbio successo di Sanremo» – dal prime time, conquistato da Williams di Liberatore. Fabrizio Zappi lascia Rai Documentari per Rai Cultura, gli subentra Luigi Del Plavignano. Roberto Genovesi, già direttore di Rai Libri, assume la direzione Rai Kids al posto di Luca Milano e Maria Rita Grieco, che lascia la vicedirezione del Tg1, va alla direzione Offerta Estero Rai al posto di Fabrizio Ferragni andato in pensione. Alla direzione di Rai Radio arriva invece Marco Caputo, considerato vicino agli azzurri.

Meloni ha potuto contare sull’intervento parallelo del braccio destro di Meloni Giovanbattista Fazzolari sul piano politico e, su quello aziendale, la filiera di Fratelli d’Italia in Rai, ovviamente lo stesso Rossi e la consigliera d’area Federica Frangi. FdI sottolinea anche l’adesione alta al voto per il rinnovo del contratto collettivo, ma va particolarmente fiero di aver messo le mani su tutta la filiera dei generi con la nomina di Coletta (che ora Rossi percepisce come “suo”) e Maurizio Imbriale, da sempre area meloniana. Il partito della premier ora controlla le direzioni di Approfondimenti e Day time, il telegiornale della rete ammiraglia e il primo canale radio, oltre alla produzione dei contenuti per ragazzi e l’informazione sportiva. Un quadro in cui si può perdonare anche l’attivismo di Antonio Marano, consigliere in missione per conto di Salvini, che si trova a essere amico di molti dei nuovi direttori anche fuori dall’alveo del Carroccio. «La Lega è andata oltre le aspettative, è vero, ma va bene così. Forza Italia invece ha fatto incetta di parecchie cose, peccato siano per lo più nomine di secondo piano» è il commento tagliente di un dirigente di credo meloniano. 

Il travaglio delle opposizioni

A fare scalpore però sono stati i voti di Alessandro di Majo e Roberto Natale, che assieme a Davide Di Pietro (quota dipendenti) hanno votato contro tutte le nomine, comprese quelle di Coletta e Pierluca Terzulli. Un controsenso, osservano da destra, «sono persone dal profilo professionale solido e politicamente più vicine a loro che a noi. Avessimo saputo che avrebbero “disconosciuto” Terzulli, forse avremmo pensato a un altro nome». 

Ed effettivamente, Terzulli, che aveva immediatamente preso le redini del Tg3 dopo che Mario Orfeo aveva traslocato a Repubblica, era il nome su cui si erano ritrovati sia Avs che il M5s. A mediare la decisione, proprio il consigliere Natale che giovedì gli ha negato il voto a favore. Una motivazione dovuta, secondo il membro del cda, il metodo adottato dalla maggioranza: «Il pacchetto di nomine sul quale ha votato il CdA Rai porta il segno vistosissimo di un accordo politico, interno ed esterno all'azienda, che mette in secondo piano le motivazioni editoriali». Una linea molto differente da quella che aveva annunciato in passato: «Credo che sia importante la valutazione dei profili proposti e su quello di volta in volta si costruiranno le maggioranze necessarie. Io non sono lì per lavorare a nuove maggioranze politiche, ma per amministrare l'azienda nel modo più utile», diceva prima del festival di Sanremo. «Bene hanno fatto i consiglieri Natale, di Majo e di Pietro a votare contro questa ennesima infornata di nomine lottizzate», sostiene la nuova linea di Natale Peppe De Cristofaro. 

Pure i Cinque stelle non vogliono essere da meno e fanno capire che questo voto contrario rischia di essere il primo di una lunga serie: intransigenza totale – anche superiore a quella di Natale, rivendica qualcuno – su una tornata in cui il M5s non aveva interessi diretti, anche per denunciare lo stallo ancora ininterrotto della commissione di Vigilanza presieduta dalla pentastellata Barbara Floridia. Eppure, anche di Majo in passato si era lasciato andare a voti ambigui, come quando aveva votato addirittura a favore del rinnovo del contratto di Gian Marco Chiocci, direttore del Tg1 e vicino alla premier. Ma la sponda con cui Giuseppe Conte in passato aveva ottenuto diverse concessioni da parte della maggioranza (e, in generale, un trattamento migliore rispetto a quello riservato al Pd) sembra essersi sgretolata: «Sono ostaggi dell’Aventino del Pd – osservano dalla maggioranza – Appena cercano di scartare passano per collaborazionisti». Il rischio è che il posto al sole del M5s nella Rai di osservanza meloniana smetta di esistere: «Da domani cambiamo musica»

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