Durissimo attacco dei comitati dei quesiti su cannabis e eutanasia. Il tesoriere dell’Associazione Coscioni: «Dopo le motivazioni, valuteremo i margini di una contestazione formale».
«O c'è un errore materiale nel giudizio dei due quesiti, o c'è un attacco in malafede al comitato promotore. Scelga il presidente della Corte quale delle due possibilità. O Giuliano Amato ha detto una cosa a cui non credeva» e che quindi sarà smentita dalle motivazioni della bocciatura del referendum sulla depenalizzazione della cannabis, «quindi bisognerebbe chiederne le dimissioni, oppure la decisione della Corte è stata presa sulla base di una scorretta lettura del testo del referendum. E allora troveremo il modo di ricorrere».
Non c’è una terza possibilità nelle parole, durissime, di Marco Cappato quanto affermato dal presidente della Corte Costituzionale Amato nel corso della inconsueta conferenza stampa tenuta mercoledì pomeriggio, subito a ridosso delle decisioni della consulta sui referendum. I due avevano già avuto uno scambio di accuse indiretto proprio davanti ai cronisti.
Il contrattacco
Oggi l’Associazione Coscioni e i comitati promotori per i referendum sulla cannabis e sull’omicidio del consenziente hanno affinato, e caricato, l’attacco in una conferenza stampa.
Amato ha contestato il fatto che il referendum era stato «dipinto come un referendum sull’eutanasia». Per Cappato, «innanzitutto i titoli dei referendum sono vagliati dall’ufficio centrale della Corte di cassazione» e comunque è «falso», intanto perché «eutanasia legale è il titolo della nostra campagna da anni», come del resto «cannabis legale» e «non è un termine giuridico, è una campagna politica».
«Eutanasia non è un termine che rientra nel codice penale, ma è un atto, che viene punito con il reato di omicidio del consenziente», insiste l’avvocata Filomena Gallo, «Più delle ragioni di ammissibilità sembra che abbiano prevalso questioni di merito, alle quali la Corte non era chiamata in questa sede». Cappato: il referendum era «sull’omicidio del consenziente, e formulato in modo da estendersi a situazioni del tutto diverse da quelle per cui pensiamo possa applicarsi l’eutanasia».
E così secondo Amato, quello sulla cannabis in realtà si estendeva a tutte le sostanze. Per Cappato anche qui «Amato ha usato un esempio falso», «non c’è nessuna legalizzazione della eroina o cocaina. Riguarda la coltivazione ma mantiene intatte al 100 per cento le punizioni di tutte le operazioni successive che fanno passare da una pianta ad un droga, tranne che per la cannabis che può avere questo tipo di consumo diretto. Io mi sono limitato a esprimere in termini non tecnici e non giuridici gli strafalcioni presentati come verità».
Non finisce qua
«Sull'inammissibilità del referendum sulla cannabis c’è stato un errore tecnico e un intento politico. Su quel quesito al momento non abbiamo neanche tre righe scritte», ha rincarato Riccardo Magi, deputato di +Europa e fra i promotori del referendum, «se avessimo davanti quelle righe saremmo tutti quanti impegnati a pressare la Corte Costituzionale per avere altre spiegazioni. Il presidente Amato ha messo sul tavolo tutto il suo peso e carisma per danneggiare i comitati promotori. Poi quando si dice che i quesiti sulla cannabis parlano in realtà di altre sostanze allora significa che non è stato letto neanche il titolo del testo». Per Cappato c’è stato «un attacco diretto e esplicito al contenuto e alla qualitè del lavoro fatto», le parole di Amato «puntano a minare la credibilità e la reputazione dei comitati promotori dei due referendum ai quali è stata attribuita l’incapacità tecnica di scrivere i quesiti referendari e di avere preso in giro milioni di cittadini elettori», «l'intera conferenza stampa di Amato è stata politica».
Non finisce qua, i comitati ora aspettano la pubblicazione delle motivazioni delle due bocciature: «Se i giudizi di inammissibilità sono stati dati sulla base di un errore materiale metteremo in discussione la validità di quel giudizio. Ma dovremo valutare i margini, forse strettissimi per una contestazione formale», conclude Cappato, «sarebbe una violazione grave di diritti fondamentali del popolo italiano».
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