Lunedì 30 settembre il segretario di +Europa Riccardo Magi, insieme ad altri esponenti del comitato promotore Cittadinanzattiva, ha depositato in Cassazione le 637.487 firme dei cittadini che hanno sottoscritto il referendum sulla cittadinanza: «155mila raccolte in sole 24 ore, oltre 9mila persone che hanno dato disponibilità a diventare attivisti digitali per questa campagna. In tempi di sfiducia totale per la politica e di distanza dalle istituzioni è il segno che le persone chiamate a “farsi politica” rispondono e si mobilitano» ha detto Magi. 

Ma ora cosa succede?

La raccolta delle firme – che devono essere almeno 500mila –  è solo il primo passo dell’iter per andare al voto. La finestra per depositare qualsivoglia referendum si apre il 1° gennaio e si chiude il 30 settembre di ogni anno, fatto salvo per l’anno anteriore alla scadenza di una delle due camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione delle elezioni per una delle due camere.

L’articolo 75 della Costituzione stabilisce che per portare avanti il referendum siano necessarie 500mila firme dei cittadini, o che in alternativa siano almeno cinque consigli regionali a farlo. Dal 25 luglio 2024 è attiva una piattaforma per sottoscrivere i referendum online, si può firmare tramite Spid.

Il referendum sulla cittadinanza ora verrà esaminato prima dalla Cassazione, che dovrà verificare l’autenticità delle firme. Poi passerà al vaglio della Corte costituzionale, che convocherà entro il 20 gennaio la camera di consiglio per stabilire se la richiesta sia o meno ammissibile.

Non si possono chiedere referendum su leggi tributarie o di bilancio, su amnistia e indulto e sui trattati internazionali. E non è inoltre possibile abrogare disposizioni di rango costituzionale, gerarchicamente sovraordinate rispetto alle leggi ordinarie.

Se la Consulta validerà il quesito, il governo convocherà il referendum che si terrà una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno 2025. 

Gli altri referendum

Il referendum sulla cittadinanza, che secondo le stime permetterebbe a due milioni e mezzo di italiani di accedere a una procedura più breve per chiedere la cittadinanza in Italia, non è l’unico previsto per la prossima stagione. Una campagna simile si è svolta prima dell’inizio dell’estate attorno al referendum contro l’autonomia differenziata, depositato in Cassazione il 4 luglio. Un terzo è stato indetto dalla Cgil per eliminare il Jobs Act: anche questo ha avuto un ottimo successo, con 4 milioni di firme. 

Se tutti e tre i quesiti referendari passeranno il vaglio di Cassazione e Corte Costituzionale, potrebbe esserci un “referendum day” la prossima primavera, in cui si potrebbe votare in un’unica tornata per autonomia, cittadinanza e Jobs act. Tutte mozioni sostenute dall’opposizione, che sta spingendo per l’ipotesi dell’accorpamento, che potrebbe portare più voti (e anche ridurre i costi, sia economici che logistici). 

Il quorum

Il problema è che il grande favore di pubblico che hanno riscosso questi temi potrebbe non essere abbastanza. Negli ultimi trent’anni, solo quattro referendum hanno superato lo scoglio del quorum e vinto. Il risultato del referendum infatti è valido solo se partecipa alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, quindi il 50 per cento più uno.

In caso di superamento della soglia del 50 più uno, il presidente della Repubblica dichiara con un decreto l’avvenuta abrogazione della legge. Il presidente può rinviare fino a 60 giorni l’efficacia abrogativa per dare alle Camere un margine di tempo per arginare la lacuna legislativa che il referendum produrrebbe.

Se la proposta abrogativa venisse respinta dalla maggioranza dei voti validi, invece, non potrebbe essere riproposta nei successivi cinque anni. 

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