Il deputato dem Ceccanti: «Pesante invasione di campo della procura». Nel pomeriggio arriva in aula a Palazzo Madama il conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale su alcuni messaggi finiti nell’inchiesta che vede il leader di Italia viva indagato per finanziamento illecito ai partiti. Conte ha annunciato che il Movimento voterà no
Il Pd ha deciso: non voterà contro Matteo Renzi, accusato di finanziamento illecito ai partiti e dirà sì al conflitto di attribuzione sul caso della fondazione Open. Il capogruppo in commissione Affari costituzionali alla Camera Stefano Ceccanti ha pubblicato un post sul suo blog: «Pesante invasione di campo della procura».
Nel pomeriggio il Senato si prepara a esprimersi sul conflitto tra poteri dello stato davanti alla Corte costituzionale per l’acquisizione da parte dei pm Luca Turco e Antonino Nastasi di alcuni messaggi whatsapp ed e-mail negli atti di indagine sulla fondazione Open. Per la procura di Firenze, la fondazione è stata il tramite attraverso cui far fluire denaro a favore di Renzi e dei renziani in maniera indebita.
La procura
La procura il 9 febbraio scorso ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex premier Renzi e altri dieci indagati: tra loro anche l’ex ministra oggi parlamentare di Italia viva, Maria Elena Boschi, l’ex ministro e deputato Pd, Luca Lotti, l'ex presidente di Open Alberto Bianchi e l'imprenditore Marco Carrai.
Oltre a loro, gli imprenditori che hanno versato cifre ingenti nelle casse della fondazione che beneficiavano le iniziative di Renzi e del giglio magico: Patrizio Donnini, Alfonso Toto, Riccardo Maestrelli, Carmine Ansalone, Giovanni Caruci, Pietro Di Lorenzo.
Agli indagati vengono contestati a vario titolo i reati di finanziamento illecito ai partiti, corruzione, riciclaggio, autoriciclaggio, traffico di influenze. Coinvolte nel procedimento anche quattro società. L'udienza preliminare si terrà il 4 aprile prossimo.
La giunta
Renzi, che dopo la richiesta di rinvio a giudizio ha annunciato di aver denunciato il procuratore aggiunto Luca Turco e il sostituto procuratore Antonio Nastasi insieme al procuratore Giuseppe Creazzo, alla fine dell’anno scorso aveva già chiesto l’intervento di Palazzo Madama scrivendo alla presidente Elisabetta Casellati.
La richiesta è irrituale e riguarda una chat con l’imprenditore Vincenzo Manes del 3-4 giugno 2018, quando Renzi era già senatore, e delle e-mail. I messaggi tra Renzi e Manes riguardavano un viaggio dell’ex premier a Washington che sarebbe stato poi pagato dalla fondazione Open 135mila euro.
Per il senatore, sarebbero state violate le prerogative costituzionali da parlamentare che prevedono l’autorizzazione della camera di appartenenza per l’acquisizione di materiale, le perquisizioni e le intercettazioni.
In questo caso, secondo la relatrice in giunta in suo favore Modena, «ritenendo che il messaggio scritto su WhatsApp rientri pleno iure nel concetto di “corrispondenza” – si legge nella relazione –, appare illegittimo il sequestro dello stesso senza una preventiva autorizzazione del Senato». La maggioranza formata da Forza Italia, Italia viva, Fratelli d’Italia e Lega aveva approvato questa versione. Il leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, ha annunciato che i Cinque stelle voteranno no: «Voteremo contro, ma non contro Renzi, contro un singolo senatore, ma perché difendiamo valori e principi del M5s. Non ci sono requisiti per chiedere un conflitto di attribuzione», ha detto l’ex premier avvocato.
I messaggi sono stati reperiti non dagli invii di Renzi, ma da quelli ricevuti da Manes. Oltre a questo, l’ex presidente del Senato, Piero Grasso, aveva obiettato non solo che non si tratta di corrispondenza, ma anche che era la prima volta che a Palazzo Madama si provava a intervenire alla chiusura delle indagini e non al momento del rinvio a giudizio. Adesso toccherà all’aula esprimersi: a differenza dell’ex premier, né Boschi né Lotti hanno ritenuto di fare riferimento alla giunta di appartenenza alla Camera.
La costituzione e il Pd
A dicembre, quando il caso era stato discusso in giunta, il Pd aveva deciso di astenersi insieme al Movimento 5 stelle. Per la senatrice Anna Rossomando (Pd) era necessaria ulteriore documentazione. Adesso i dem hanno deciso di non andare contro Renzi. Le motivazioni spaziano dall’opportunità politica al diritto. Da una parte infatti metà del gruppo al Senato appartiene a Base riformista, la corrente ancora vicina a Renzi nonostante sia uscito dal partito, dall’altra i senatori ritengono che il leader di Italia viva abbia ragione a chiedere che vengano riconosciute le sue prerogative da parlamentare.
«È il momento di difendere il Parlamento e l'articolo 68 della Costituzione» ha scritto sul proprio blog Stefano Ceccanti, capogruppo del Pd in Commissione Affari costituzionali alla Camera a proposito del voto di oggi in Senato.
Ceccanti dice di «trovare convincente» la posizione di Modena. «Leggetela prescindendo dal nome di Renzi e dal concreto caso giudiziario, come se fosse un parlamentare ignoto. A me sembra evidente che sia un'iniziativa del potere giudiziario che sposta palesemente i confini dei rapporti tra poteri violando l'articolo 68 della Costituzione che richiede per questo tipo di iniziative l'autorizzazione della Camera di appartenenza».
Per questo, ha detto ancora, «a prescindere dall'appartenenza di gruppo - prosegue Ceccanti -, sarebbe auspicabile che ogni senatore presidiasse i confini delle prerogative del parlamento contro questa pesante invasione di campo».
Non solo, per il parlamentare «si tratta di corrispondenza per cui l'autorizzazione deve essere sempre preventiva, anziché intercettazioni in cui può anche essere successiva». La materia, conclude, «non lascia dubbi di sorta: è il momento di difendere il parlamento e l'articolo 68 della Costituzione».
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