Uno stallo alla messicana, il giorno dopo lo strappo del presidente M5s sulle alleanze regionali, il centrosinistra si presenta così: ai tre lati del campo largo – dichiarato cerebralmente morto, comunque secco incendiato, tutto sassi e sterpi, e con delle fosse già scavate – Elly Schlein, Giuseppe Conte e Matteo Renzi. E la memoria va alla scena del triello di Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone.

Mercoledì 2 ottobre, di buon mattino, Conte ha tuonato contro i ministri Crosetto e Tajani, chiamati alla Camera, alla commissione Esteri, a riferire sugli attacchi di Israele, Iran e Libano: «Ho sentito dire che il 7 ottobre è stato un tentativo di olocausto. Ma allora quello che è stato dopo per dodici mesi a Gaza che cos’è?». A mezzogiorno Schlein ha riunito la segreteria del Pd per parlare (solo, rigorosamente solo) del Medio oriente. Toni da partito di governo. Ha chiesto a Meloni e alla Ue «ogni sforzo per fermare questa escalation devastante» e per il cessate il fuoco. Alle 12 e 20 Renzi sui social ha reso omaggio ai nonni (nel giorno della festa).

A quell’ora il Transatlantico era semivuoto. Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli si appartavano in un divanetto, facce preoccupate. Arturo Scotto annunciava ai cronisti che «Pd, Avs e M5s depositano un ddl sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario». Facce interrogative: ma come, ma se è esploso tutto? Il deputato ha allargato le braccia: «Noi qui facciamo il nostro lavoro».

Tre regioni stesso problema

In Liguria Conte ha cacciato dall’alleanza Italia viva, anche se aveva pochi nomi in una lista civica. «Ma – viene spiegato dai M5s – uno di quei nomi era un’ex assessora di Bucci», il sindaco di destra che corre da presidente. Sull’Emilia-Romagna Conte, da Porta a Porta, ha annunciato a freddo: «Non sono disponibile ad affiancare il simbolo del M5s a quello di Renzi, che si è sempre distinto per distruggere e rottamare». In realtà lì Renzi non doveva presentare una lista di Iv («non ne ha le forze», riferiscono dal territorio), ma a stretto giro ha risposto piccato: Iv sarà al fianco di Michele de Pascale «con il nostro simbolo e i nostri candidati». Emiliani del Pd e del M5s a lavoro per provare a rappattumare. Ma in queste ore il candidato de Pascale spiega che «Iv governa con noi da cinque anni», e che «se a livello nazionale un progetto comune non c’è, da noi invece esiste e si è anche allargato a oltre 60 liste civiche», dunque «andiamo avanti».

Quanto all’Umbria, la fatwa di Conte contro Renzi in teoria lì non dovrebbe avere conseguenze. Una lista renziana non c’è, spiega la candidata presidente Stefania Proietti, che dalle pagine del Fatto quotidiano si difende dalla buriana nazionale: «Iv ha condiviso la mia candidatura» ma «non ci sarà una lista Iv». Qualche nome riferibile a Renzi sarà accolto dai samaritani delle liste civiche. E se Conte lo scova?

Il furbo e il furbo e mezzo

Siamo allo stallo, dunque, al triello fra i leader: la buona, quella che «non faccio polemiche», e due cattivi. La federatrice che non riesce a federare, il furbo e il furbo e mezzo.

Schlein non intende rispondere al fuoco – metaforico – di Conte. I loro rapporti si sono gelati sulla Rai; il Pd non ha votato per il rinnovo del Cda, M5s e Avs sì. Sono seguite accuse di tradimento e repliche indignate. La segretaria è ancora convinta che «non bisogna perdere un solo minuto nella polemica interna». Ma non ha realizzato, o lo ha realizzato solo a frittata fatta, che riaccogliere Renzi nel centrosinistra avrebbe fatto esplodere il nucleo fondatore della futura coalizione Pd-M5s-Avs. È contraria a convocare tavoli fra alleati: pubblicamente perché «le alleanze si fanno sui temi», in realtà perché – lo racconta ai più stretti – un tavolo potrebbe portare guai: e se un leader non ci viene, poi resta fuori? E se ci viene e scatta il litigio?

Ma così, lasciando bollire la collera, sono esplose anche le alleanze già chiuse nelle regioni. Ora Schlein è a un bivio esistenziale: vincere con Conte in Liguria certificherebbe l’irrilevanza di Iv. E vincere senza M5s in Emilia-Romagna? Rompere con Renzi significherebbe mandare in fibrillazione mezzo partito, la parte riformista, che ormai maltollera l’ex segretario ma preferisce non avercelo contro. E comunque: perdere in Liguria sarebbe perdere il treno della «tripletta» regionale, con conseguenze sulla leadership dell’alleanza.

Conte, dal canto suo, non può apparire ai suoi come il cameriere di Schlein. Non ora, mentre gioca la partita della vita contro Grillo nella “costituente”. Forse mai, perché una volta vinto il congresso avrà lo stesso problema: dimostrare che il suo movimento non è subalterno al Pd. Non gli resta che la guerriglia ai danni di Schlein, per interposto Renzi. C’è chi spiega che ha stretto i bulloni con Avs per pesarsi come leader alternativo: se il Pd vale il 24 per cento, M5s e rossoverdi insieme valgono il 18. Da Avs smentiscono seccamente, anzi ricordano che se sulla Rai si sono schierati con Conte, sulle alleanze nelle regioni sono con Schlein «perché i patti si rispettano». Certo Renzi è impotabile anche per loro. E in ogni caso: Schlein vuole rinunciare al 18 per cento in cambio di un aleatorio due di Iv? E di una coalizione con soli centristi «che poi lei non potrebbe guidare?».

Renzi, infine, è il terzo pistolero del triello: accusa Conte di prendersela con lui per disarcionare lei, Schlein. Può tirare ma non spezzare la corda: la leadership di Schlein è la polizza della sopravvivenza politica, quella che da solo, con le sue mille acrobazie, si è consumato. Per questo ora combatte contro Conte per lei, lei che dovrebbe invece temerlo come i Danai, et dona ferentes.

«Pd non significa partito della pazienza», sospira il deputato Virginio Merola, ex sindaco di Bologna. Invece la sua segretaria giura di avere tanta pazienza. Lei non vuole sparare per prima al triello, anzi non vuole sparare. Ma così lascia che gli altri due si impallinino a vicenda. Anzi, che impallinino il suo futuro di leader della coalizione. Intanto sabato 5 ottobre lei e Conte si rivedranno a Roma, nella sala della Cgil in cui si festeggia l’oltre un milione di firme sull’autonomia differenziata e si decideranno i primi passi della campagna referendaria. Prudentemente Renzi non ci sarà, manderà Maria Elena Boschi.

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