Un attacco diretto a giornali, giornalisti e libertà di stampa. Lo scorso 30 luglio la premier Giorgia Meloni è tornata a puntare il dito contro i media – almeno quelli non “allineati” – che a suo dire avrebbero strumentalizzato il rapporto sullo stato di diritto dell’Unione europea che segnalava i rischi per l’Italia sui temi dell’informazione.

Parole, quelle pronunciate dalla presidente del Consiglio in missione in Cina, che impongono una riflessione sullo “stato di salute” della democrazia in Italia. E naturalmente sul futuro del giornalismo nel paese. Se ci sia dunque un “disegno” politico mirato a cancellarlo o censurarlo, il giornalismo, lo chiediamo allo scrittore e giornalista Roberto Saviano, che risponde senza mezzi termini: «Meloni non vuole cancellare il giornalismo nella sua totalità, solo quello che non scrive sotto dettatura».

Saviano, il linguaggio costruisce la realtà. La premier, sempre dalla Cina, si è riferita a Domani e ad altre testate come «giornali portatori di interessi». Secondo lei, Meloni quale tipo di realtà, attraverso le sue parole, sta tentando di costruire?

Se io scrivo di mafia lo faccio per arricchirmi, se Scurati scrive di fascismo lo fa per arricchirsi, chiunque scriva ciò che non rientra nei desiderata della premier viene accusato di farlo per interesse. Meloni e la sua parte politica vogliono rappresentare un mondo in cui chiunque non la pensi come lei/loro è prezzolato, compromesso, lo fa per interesse. Come se Meloni facesse la premier per amore verso il mondo. Come se la sua famiglia occupasse i vertici del partito e del governo pro bono. Come se tutte le persone a lei vicine posizionate in ruoli apicali abbiano deciso di occupare il potere gratis. Loro sono una banda di affamati.

Come sta la democrazia in Italia? È a rischio?

La nostra democrazia è sotto attacco, ma non da oggi. A me spiace dirlo, perché quando si ha un governo come quello attuale verrebbe da salvare tutto ciò che è venuto prima, ma sarebbe sbagliato non rintracciare nel passato gli errori che ci hanno condotto fin qui. Oggi la questione delle carceri è quanto mai attuale, per il numero elevatissimo di suicidi, per le condizioni di vita intollerabili. Dopo un lavoro durato anni, il governo Gentiloni non ebbe il coraggio di far votare in parlamento i decreti attuativi che avrebbero portato alle carceri i fondi necessari per poter migliorare le condizioni dei detenuti. Dobbiamo renderci conto che oggi paghiamo la pavidità delle politiche di centrosinistra su questioni che sono cruciali: lavoro, carcere, immigrazione. Basti ricordare che il ministro dell’Interno di quel governo era Marco Minniti, che a distanza di anni possiamo riconoscere quale uno dei maggiori ispiratori e ideologi della deriva xenofoba italiana.

Non solo giornalisti. Gli intellettuali? Che spazio trovano in Italia?

Gli intellettuali in questo paese vengono minacciati, e non da ora. Potrei mettere in fila le accuse e le offese che mi sono state rivolte da politici di ogni schieramento, oltre che da criminali. Ci fu addirittura un politico che suggerì a un’università americana con cui collaboravo di interrompere ogni rapporto con me perché non bisognava dare spazio agli italiani che parlano male del proprio paese. Tra parentesi, non credo di aver mai parlato male del mio paese, ma, se raccontare le dinamiche criminali significa criticare l’Italia, allora devo supporre che per certi politici il nostro paese e le mafie che ne inquinano l’economia sono la stessa cosa. Qui da noi gli intellettuali, qualunque cosa scrivano o dicano, vengono accusati di farlo per un tornaconto personale. Ci vuole tanta forza per continuare a fare le battaglie in cui si crede quando la politica ti espone continuamente ad attacchi e odio, quando toglie risorse e possibilità di lavorare.

Non a caso lei ha scritto che «chi racconta cose scomode, chi descrive la realtà infelice dell’Italia viene accusato dalle massime autorità politiche di gettare discredito sul paese agli occhi del mondo». Sembra che le cose non siano cambiate. Raccontare la realtà significa davvero infangare il proprio paese?

Il potere ha sempre utilizzato ogni mezzo in suo possesso per screditare chi lo mette in discussione, sono le persone che devono sottrarsi, che non devono farsi prendere in giro. Le mie prese di posizione accanto ai migranti e a chi li trae in salvo non mi hanno portato arricchimento, mi hanno creato al contrario un’enormità di problemi. Tutti gli editori con cui ho lavorato sinora mi hanno sempre chiesto di non prendere posizione, di dedicarmi piuttosto alla scrittura. Sono stato portato a processo da tre ministri. La quantità di odio che sui social mi viene riservata ogni volta che prendo posizione per dar voce a chi non ne ha è inimmaginabile. Mi domando come facciano le persone a credere realmente che se racconto il dramma di Cutro io possa farlo per arricchirmi.

Sempre nella sua “Lettera all’Italia infelice” lei ha scritto che giornalisti e intellettuali, appunto, devono «raccontare quello che non va, perché solo raccontando la realtà di quest’Italia arida si potrà sconfiggere l’infelicità: la libertà di stampa è utile per essere felici». Lo crede ancora o pensa che si tratti di una “lotta” combattuta ad armi impari? In altre parole, resistere serve a qualcosa?

Resistere si deve. Raccontare è necessario. Ma a volte il prezzo da pagare è troppo alto. Per non parlare della paura che serpeggia nelle redazioni dei quotidiani italiani. Di tutti. Si ha paura anche della propria ombra.

Ormai i politici si raccontano attraverso i social network. Si tratta spesso di narrazioni demagogiche, canali alternativi e diversi rispetto ai media tradizionali. I social le fanno paura?

Non mi fanno paura né i social media né i media tradizionali, mi fa paura l’uso che ne viene fatto. Oltretutto in Italia l’età media della popolazione è molto alta, la televisione incide ancora e indirizza il voto. Mi fa paura la distorsione della realtà che vi trova spazio. Mi fa paura parlare di immigrati e detenuti come soggetti da tenere a distanza, mi fa paura la mancanza di empatia. Mi fa paura quello che siamo diventati senza essercene nemmeno resi conto.

Come viene vista l’Italia, in riferimento alla libertà dei media, dai paesi esteri?

Come un paese dove esiste realmente una compressione della libertà di stampa e di espressione. Come una democrazia che si sta avviando a essere una democrazia illiberale sul modello dell’Ungheria di Viktor Orbán. Meloni dalla Cina ha sostenuto che in Italia non c’è compressione della libertà di stampa e di espressione, che non c’è censura in Rai, e per ribadirlo ha attaccato quotidiani e giornalisti. A me sembra assurdo dire che in Italia la stampa è libera mentre si stilano liste di proscrizione. Poi, incredibilmente, Giorgia Meloni sembra dimenticare che esiste internet: fa la trucida in Italia e pensa che a Madrid o a Parigi non lo sappiano in tempo reale. O forse fa affidamento sulla irrilevanza mediatica delle vicende italiane sui media stranieri, perché è evidente che l’Italia (leggasi Meloni) è il centro del mondo solo nella visione precopernicana della galassia mediatica più pazza del mondo, quella degli Angelucci.

Alle giovani generazioni qual è il messaggio che arriva? Quale quello che lei vorrebbe gli arrivasse?

Si parla delle giovani generazioni senza sapere esattamente dove siano queste giovani generazioni, come siano composte, quali siano i loro riferimenti. Oggi è tutto diverso rispetto a quando ero giovane io. La mia giovane generazione aveva riferimenti condivisi anche quando la si pensava in maniera radicalmente opposta. Oggi il mondo è molto più sfaccettato, non esistono più il bianco, il nero, il grigio, ma infinite sfumature di grigio. Quello che vorrei arrivasse alle giovani generazioni è un messaggio semplice, questo: impegnatevi perché non esistono scorciatoie.

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