Il Duce era diventato cittadino onorario di molte città, in un’operazione di massa legata alla formazione della dittatura fascista. Nella nostra repubblica può venire dissimulato e rimanere inalterato quel riconoscimento imposto senza che vi fosse un consenso delle comunità interessate?
Ha suscitato una larga eco la notizia che a Salò un giovane sindaco, espressione di una giunta di centro-sinistra, ha proposto e fatto deliberare la revoca della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, concessa nel fine maggio 1924. La rilevanza simbolica di Salò nella memoria pubblica degli Italiani ha amplificato un evento che, negli ultimi anni, si era manifestato in numerose città, piccole e grandi, con alterni esiti.
Dando voce a quanti non hanno apprezzato la decisione, Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera, ha posto dei quesiti non banali «Non dico che non abbia senso togliere la cittadinanza a Mussolini, non è sbagliato farlo. Ma ce ne si accorge dopo ottant’anni? È come dire: Noi abbiamo sbagliato, oppure eravamo costretti, e adesso ci redimiamo. È un’iniziativa fuori tempo massimo, questa rimozione che segue la cancel culture senza una seria analisi storica».
Occorre dunque entrare nel merito, andando oltre il caso in questione e muovendo dall’indagine storica di lungo periodo.
La storia
Si tratta intanto di tutt’altro rispetto ai fenomeni eclatanti di cancel culture nelle democrazie di ascendenza anglosassone, declinati con forzature ideologiche e la volontà di far prevalere l’oblio invece che la conoscenza storica.
La necessità che tutti sentiamo è quella invece di fare i conti con la persistenza di luoghi di memoria della dittatura fascista che sono il riflesso della mancata presa di coscienza, anche dopo la nascita della Repubblica democratica, di quale sia stato l’impatto della miscela di violenza materiale, coercizione e imposizioni, omologazione e conformismo, nella società e nelle istituzioni di quei primi anni Venti del Novecento.
Come e quando si è originata l’operazione di massa della cittadinanza onoraria al dittatore in fieri? Essa ha avuto un primo epicentro in occasione dell’anniversario della marcia su Roma sul fine 1923, per poi diventare un fenomeno nazionale nel maggio 1924, quando una direttiva del Partito nazional-fascista ha chiesto ai prefetti di farsi da tramite verso i comuni d’Italia nel rendere un omaggio a Mussolini.
La data prescelta è stata quella del 24 maggio, anniversario dell’entrata in guerra e giorno di insediamento di un nuovo parlamento, a quel punto con uno schiacciante dominio fascista. Si è trattato insomma un primo e decisivo passo nella costruzione di un regime plebiscitario intorno alla figura del Duce. Si erano da alcune settimane tenute le elezioni politiche, costellate di violenze e aggressioni nei confronti dei candidati e degli elettori antifascisti, ed eravamo pochi giorni prima che Giacomo Matteotti denunciasse tutto ciò nel suo coraggioso discorso del 30 maggio.
Abbiamo ora uno studio storico che permette di superare disinformazioni e pressapochismi, favorendo una meditata riflessione politica e culturale (Michelangelo Borri, “Il cittadino d’Italia”. Storia delle cittadinanze onorarie a Benito Mussolini, FrancoAngeli 2023). È uno strumento conoscitivo che permette a sindaci e consigli comunali di avere il necessario supporto per ogni eventuale iniziativa di revoca di quella discussa cittadinanza, muovendo dal significato e dalla funzione storica di quei riconoscimenti e non da contingenti polemiche: nella consapevolezza che sempre attuale siano un avvertito dibattito sulla memoria del fascismo e le legittime aspirazioni delle comunità locali e della società civile a riappropriarsi del proprio passato.
Al luglio 1924 erano 6694 (su 8366) i comuni che avevano proceduto nei riconoscimenti onorifici, «si trattasse di municipalità fasciste, commissariate, oppure non ancora assoggettate al diretto controllo delle camicie nere o popolate da personalità approdate al fascismo soltanto in un secondo momento» (p. 118). In ogni caso, non si trattava di una libera scelta da parte delle comunità e dei suoi rappresentanti, ma di imposizioni dall’alto, segno manifesto di una dittatura ormai pervasiva.
Dignità antifascista
Nell’immediato secondo dopoguerra, dopo la Liberazione, numerosi Comuni hanno revocato prontamente la cittadinanza mussoliniana ma, in realtà, un grande numero di essi ha rinviato sine die l’istanza. Fino a quando, negli ultimi anni, essa è tornata di attualità, in parlamento e nel paese, sulla base di un quesito di fondo: nella nostra Repubblica, la cui Costituzione fu scritta come espressione della volontà di rendere liberi gli italiani dalle costrizioni e dai soprusi del regime fascista, può venire dissimulato e rimanere inalterato quell’imposto riconoscimento a Mussolini senza che vi fosse un consenso delle comunità interessate?
Facciamone dunque una occasione di dibattito storico-politico in ogni comune dove ancora sussista la cittadinanza onoraria di Mussolini. Restituiamo dignità antifascista alle nostre città, ma facciamolo senza cancellare la storia e dando visibilità alla revoca, laddove avvenisse, con discussioni pubbliche e lasciandone traccia tramite un’apposita epigrafe in consiglio comunale, che ripercorra e documenti la vicenda. Per la nostra e la futura memoria.
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