Abbiamo assistito in questi giorni a un allineamento ideologico antisciopero, in occasione dello sciopero generale indetto da Cigl e Uil. Agli argomenti rozzi del ministro Matteo Salvini si sono affiancati argomenti in apparenza più digeribili che hanno fatto perno sull’utilità e la prudenza.

Sono stati sollevati dubbi sulla “funzionalità” dello sciopero, quello generale in primis. Non porta vantaggi ai lavoratori e crea disagio a tutti, si è detto. Si inimica l’opinione pubblica. Allora perché scioperare? Siccome viene scomodata l’opinione pubblica a riprova della sua disfunzionalità, ha senso andare all’abc dei diritti per interpellare i critici, sbracati e moderati, nel nome delle libertà liberali.

Lo sciopero è stato ideato per disturbare la classe padronale (per costringerla a trattare) e la popolazione in generale (affinché comunichi il disagio ai politici). Viene esercitato non da singoli ma da associati. I salariati hanno usato l’arma dell’associazione per difendere la libertà di chi è socialmente più debole.

Bilanciamento delle forze

I primi liberali riformisti inglesi (come J.S. Mill) usarono un argomento repubblicano classico (divide et impera) per giustificare il sindacato e lo sciopero: il potere ha la tendenza naturale al monopolio e occorre bilanciarlo dall’esterno. Il bilanciamento delle forze stabilizza la pace sociale istituzionalizzando la certezza degli attori che il processo di negoziazione resti sempre aperto. Gioca sul diritto di interferire nelle scelte dei singoli: siccome gli individui non sono economicamente uguali si deve dare alla parte debole il potere di associarsi per poter interferire con le decisioni della parte più forte, per creare le condizioni di un conflitto sociale regolato.

In sostanza, per i liberali la sindacalizzazione era necessaria perché limitava un difetto (potere sproporzionato di uno dei contraenti) molto più grave di quello che deriva dal potere dell’associazione sulle scelte individuali (degli industriali e dei cittadini tutti, anche i lavoratori non sindacalizzati).

In una società nella quale il lavoro è un mezzo essenziale per l’indipendenza economica, la disoccupazione, i bassi salati e il caro vita violano il diritto individuale di fare scelte molto più drammaticamente di quanto non faccia la libertà di associarsi in sindacato.

Invece di fare appello ai diritti naturali, i liberali che hanno difeso il diritto sindacale hanno fatto appello alla condizione effettiva di sproporzione del potere: «il lavoratore in condizione isolata» è incapace di far fronte «a un padrone in condizione isolata», scrisse Mill. Il capitalismo genera relazioni socio-economiche assimmetriche ed è tendenzialmente tirannico. Il diritto di “discussione e agitazione” è un mezzo di difesa contro un ordine economico esposto all’arbitrio.

Interferire con il potere

La difesa liberale del diritto di sciopero non nega l’economia di mercato ma riconosce che il mercato può diventare un perverso gioco d’azzardo che “deteriora” il libero scambio e la determinazione dei salari.

La lotta sindacale ha dunque un livello difensivo e uno propositivo – una politica liberale non può pensare di difendere la libertà civile senza interferire con le scelte di chi ha una posizione sociale di vantaggio.

Il sindacato gioca nella sfera socio-economica lo stesso ruolo che il costituzionalismo gioca nella sfera politica: riconosce il male potenziale del monopolio e lo ostacola con una politica della divisione e di pluralismo. Non vuole cambiare la testa delle persone ma vuole metterle in condizione di trattare. Gli operai che incrociano le braccia adottano una strategia simile ai poteri di garanzia costituzionale: interferiscono con chi ha un sovrappiù di potere.

Da questa premessa liberale si è sviluppata la traiettoria che ha portato le democrazie del Dopoguerra a includere il diritto di sciopero nella costituzione. L’esperienza fascista ha fatto scuola, mostrando gli effetti deleteri per tutti dell’uso del potere statale per proteggere una parte (la minoranza avvantaggiata) e bloccare il conflitto al fine di non creare disagio sociale.

La svolta fascista fu illiberale. Vittorio Foa (un costituente) disse che il lavoro ha un’ambivalenza: «Si vuole lavorare perché il lavoro è necessario ma lo si disvuole per la sua pena» che la remunerazione, i diritti e le tutele solo parzialmente leniscono. La consapevolezza di questa “ambivalenza” indusse i nostri costituenti ad interrogarsi sull’identità della cittadinanza e a concludere che essa sarebbe stata un abito troppo astratto qualora fosse restata dissociata dalla condizione sociale, dal nucleo di interessi, bisogni e creatività, ma anche di sofferenza e rischio di dipendenza e di subordinazione. L’opinione liberale non può onestamente ingorare la banale condizione di necessità da cui nasce lo sciopero. Disturbare è l’arma di chi non ha altro potere se non l’associazione.

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